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lunedì 7 settembre 2015

Immigrazione: un inizio di inversione di tendenza

L'Ue e la crisi
Immigrazione: il merito di Angela Merkel
Fulvio Attinà
01/09/2015
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Sono trascorsi quasi due anni dalla decisione del governo Letta di lanciare Mare Nostrum: per salvare naufraghi, anche se migranti illegali, in ottemperanza a principi umanitari e norme di diritto internazionale - obiettivo, nonostante la perdita di vite umane, riuscito -; e per colpire il traffico di esseri umani - obiettivo quasi fallito, per il quale è necessaria la cooperazione giudiziaria multilaterale.

Il governo italiano ha agito in totale dissenso dai governi – incluso quello tedesco - e dalle istituzioni Ue che negavano la doppia natura del flusso di persone nel Mediterraneo: umanitaria, trattandosi di fuga da guerre, persecuzioni e povertà, e migratoria, trattandosi di persone in cerca di lavoro, ma senza il permesso di ingresso.

Il 26 agosto scorso, davanti ai massicci arrivi attraverso i Balcani e non più solo il Mediterraneo, né per colpa di Mare Nostrum, la cancelliera Angela Merkel ha sospeso l’applicazione della convenzione di Dublino nel suo Paese concedendo asilo ai profughi siriani e ha definito il problema migratorio il problema più grosso dell’Europa. Finalmente!

Le posizioni europee
Siamo, però, lontani da un’inversione di rotta. Nel 2013, all’inizio di Mare Nostrum, l’Ue e i suoi governi sostenevano che per diritto internazionale e dell’Unione (a) la sorveglianza dei confini è responsabilità del singolo Stato, eventualmente coadiuvato da agenzie Ue; (b) il soccorso e salvataggio in mare è responsabilità dello Stato costiero; (c) il controllo degli stranieri all’interno di uno Stato è responsabilità del suo governo.

Offrivano, comunque, il supporto dell’Unione sui primi due punti, se era soddisfatto il terzo, in linea con le posizioni tradizionali che consistevano nel negare la necessità di misure eccezionali, lasciare agli Stati la responsabilità del controllo degli ingressi e firmare accordi con Paesi di origine dei flussi offrendo aiuti economici in cambio delle riammissioni operate da Frontex.

Nell’ottobre 2014, le cose sono cambiate ma non molto. Riconosciuto il dovere umanitario di salvare i naufraghi anche se migranti illegali, e riconosciuti i costi sopportati dall’Italia nell’opera di soccorso umanitario che gli altri avevano rifiutato, l’operazione europea Triton ha sostituito (ma non proprio!) Mare Nostrum.

La Commissione europea, inoltre, ha proposto il sistema delle quote per dare all’Unione la responsabilità di sistemare un buon numero di aventi diritto all’asilo, ma fino ad oggi la proposta è stata sabotata dai governi.

Tendenze globali e fattori di spinta
Nella narrativa dominante, l’afflusso di migranti è un evento occasionale da fronteggiare con le consuete misure di controllo dei confini e dell’immigrazione.

Il fenomeno, però, è mondiale. Golfo Persico, Oceano Pacifico, America sono sotto l’impatto di fattori di spinta riconducibili alle tendenze globali di quattro settori sociali.

Nel settore economico le regole del mercato causano e causeranno a lungo disoccupazione nel Global South, mentre le economie avanzate, seppure battute da crisi, conservano prosperità e welfare.

Nel settore tecnologico, i mezzi di trasporto e soprattutto i nuovi mezzi di comunicazione gonfiano il movimento delle persone e disseminano informazioni sulle rotte verso i Paesi nei quali esistono opportunità di lavoro e welfare.

Trasporti veloci e comunicazioni elettroniche sono ancora più importanti perché riducono i costi umani del distacco dal Paese d’origine dando ai migranti l’opportunità di conservare la propria identità culturale nei paesi stranieri ed essere agenti di transnazionalismo veicolando nei due sensi pratiche e costumi.

Nel settore delle relazioni sociali, l’afflusso di persone di altre culture apre la sfida del multiculturalismo, ostacolato dai Paesi che rifiutano di trasformarsi in società multiculturali.

Cambiamenti rilevanti sono causati anche dalla crescita demografica in Africa, Centro e Sud America e Asia sud-occidentale e dalla flessione demografica in Europa, Australia e Nord America.

Nel settore della politica, infine, l’ideologia e la pratica dei diritti umani sostengono l'aspettativa di condizioni di vita dignitosa e lavoro in Paesi diversi da quello di nascita supportati concretamente dai programmi delle Nazioni Unte e delle organizzazioni non-governative.

Alle tendenze globali si aggiungono fattori locali di spinta. L’assenza di Stato in larghe aree dell’Africa causa povertà, corruzione, persecuzioni, violenza, inquinamento, insicurezza e spinge larghe masse a lasciare il proprio Paese. In Africa e in altre aree, guerre interne e internazionali crudeli e prolungate sono un altro incentivo a emigrare.

Gli accordi europei
In questo scenario, gli accordi all’interno dell’Ue lasciano dubbiosi. Il blocco dell’immigrazione illegale e le riammissioni trascurano i fattori di spinta che richiedono nuove regole sull’attraversamento dei confini e il trattamento dello straniero.

Gli accordi di riammissione sono piuttosto inutili perché i Paesi d’origine hanno difficoltà ad attuare il capacity-building del controllo dei confini che l’Ue propone, e molti riammessi emigrano nuovamente sotto l’effetto dei fattori di spinta.

Esternalizzare l’accoglienza aiutando Paesi delle aree di crisi a gestire campi profughi è molto discutibile perché i campi sono già sovrappopolati e al di sotto degli standard umanitari. Estendere la cooperazione allo sviluppo è cosa buona ma non risolve i problemi di oggi.

Ben venga, infine, l’ipotesi di rivedere il regime europeo di concessione dell’asilo che viola i diritti dei richiedenti oltre che i desideri di molti di loro e di alcuni governi europei. Insomma, riconosciuta la superiore qualità del problema migratorio, sono necessarie misure in linea con le tendenze globali e i fattori di spinta.

In cerca di risposte
Cosa può fare l’Europa? Se ammette di non avere le capacità di agire sui fattori di spinta, può almeno aggiornare le misure esistenti sui confini e sull’immigrazione adeguandole alle condizioni prodotte dalle tendenze globali.

Poiché violenza e povertà sono alle radici dei flussi migratori, domandiamoci se questa Ue è capace di smorzare guerre e conflitti con azioni diplomatiche e militari efficaci e di porre fine alla disoccupazione nei Paesi poveri.

Poiché il mondo intero deve fare i conti con le tendenze globali, dobbiamo pensare anche a una riorganizzazione degli Stati per risolvere problemi come mobilità umana, crescita demografica e disoccupazione che passano sopra i confini di ognuno di essi.

Fulvio Attinà, professore di Scienza Politica nell’Università di Catania, attualmente dirige progetti H2020 e d’Ateneo sul problema migratorio.
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