GUERRE DELL’ACQUA
O GUERRE PER
L’ACQUA ?
C, Sferrazza
E’ convinzione diffusa fra i
macroecomisti e gli esperti di strategia
militare che nei prossimi anni il problema dell’acqua diverrà uno dei più
centrali nei possibili conflitti in varie aree del mondo. Queste previsioni si
basano su dati statistici difficilmente smentibili perché derivati da una
osservazione di quasi due decenni. Come conferma una fonte Uesco attualmente
nel mondo una persona su sei non ha disponibilità di acqua potabile. Se poi si
confrontano le varie arie continentali i dati sono altamente preoccupanti. Nel
1990 la media mondiale in metri cubi della disponibilità d’acqua pro capite
era di 7.800, che precipiterà nel 2025 a 4.800. Dando uno sguardo continente per
continente si rileva sempre nel confronto 1990-2025: Asia da 3.840 a 2.350. Africa, dato
da guardare con apprensione, da 6.180
a 2.460. L’Europa resta abbastanza stabile: da 3.990 a 3.920. Calano anche
il continente americano : il Nord America da 17.800 a 12.500, il Sud
America da 46.600 a
24.000. L’Oceania resta ancora in testa anche se con una evidente differenza:
da 85.800 a
61.400. Questi sono i dati freddamente numerici, dati che certo non nascondono pericoli evidenti su vari piani,
da quelli economici, a quelli sociali e militari. Confermano queste paure studi
di provenienza statunitense: tra una ventina d’anni oltre il 60% della
popolazione terrestre soffrirà per la mancanza d’acqua. Diversamente dalla
crisi delle fonti energetiche non rinnovabili, vedi petrolio e carbone, che
hanno messo in movimento azioni volte alla loro sostituzione con fonti
rinnovabili o con il discutibilissimo nucleare, sul problema dell’acqua non si
avverte un identico interesse e tensione della politica e della società civile.
Che succederà nel 2025 quando la terrà sarà abitata da oltre 2,4 miliardi di
persone? Assisteremo ad un dilemma di non facile soluzione. Avremo una sempre
maggiore domanda, di fronte ad una sempre minore disponibilità di quello che
viene chiamato “oro blu”. E’ a questo punto che il panorama si incupisce ed
emergono le paure di possibili conflitti. La storia è ricca di esempi, dai
tempi dei sumeri, alle guerre fra
Israele e Paesi Arabi vicini. E proprio
l’area medio-orientale è uno dei punti critici. Oltre al “contenzioso” per lo
sfruttamento del Giordano fra Israele, Palestinesi, Giordania e Siria (ancora
in atto), nel non lontano passato si è assistito ad una crisi fra Iraq e Siria
per le acque dell’Eufrate, crisi che ha poi visto come attore di non secondo
piano la Turchia.
Ankara ha costruito nella zona curda una ventina di dighe e
centrali sull’Eufrate, portando via così oltre il 40% del suo flusso alla Siria
e ben l’80% all’Iraq. Forte dello scudo Nato il governo turco ha di fatto
sfidato i due Paesi, arrivando poi a cose fatte ad una specie di accordo che
certo non li avrà soddisfatti.
Altre zone del mondo corrono dei
rischi. In Africa gli analisti ne indicano almeno tre: il fiume Okavango ( ha
la particolarità di non sfociare in mare…) che interessa il Botswana, la Namidia e l’Angola. Il
Nilo, che fu all’origini di forti contrasti fra l’Egitto e l’Etiopia e il Sudan
già dai tempi di Sadat. Nel non sopito contrasto, si aggiungono oggi i cinesi
interessati alla costruzioni di dighe e centrali e tre Paesi a monte, Tanzania,
Kenia e Uganda che vogliono sfruttare al massimo il lago Vittoria. Sempre in
Africa il Sudafrica si è impossessato di quasi tutte le fonti d’acqua del
Lesotho.
Anche l’Asia non è esente da
pericoli, e vari Paesi sono interessati a dispute per fiumi e bacini, alcuni di
questi paesi fra l’altro detentori di armi nucleari, il che rende ancor più
fosche le previsioni. Ci riferiamo alla contesa fra Cina ed India per il
sistema dei fiumi Gange- Brahmaputra. Attorno a questi due Paesi, si affollano
sullo stesso problema anche Bangladech, Bhutan, Nepal e Myanmar ( già
Birmania).
Il quadro generale, analizzato da
istituti specializzato, quasi tutti statunitensi, fa emergere una situazione
assai pericolosa. Nella seconda parte del XX secolo sono state oltre 500 le
crisi politiche per problemi legati all’acqua. Fortunatamente solo una
quarantina si sono tramutate in atti di guerra. Ciò fa pensare che per il
futuro, visto il trend che sta manifestando il problema, si possono
facilmente prevedere possibilità di guerre ben più violente e di vasta portata.
Sempre gli istituti americani hanno censito 260 o poco più di bacini fluviali,
di grande importanza dove si concentrano oltre il 60% delle risorse idriche
mondiali. Lungo il loro corso è dislocato il 40% della popolazione mondiale.
Come si vede un insieme di problematiche che possono dar vita ad eventi
pericolosi di ogni tipo e che potrebbero far maturare soluzioni belliche.
Uno dei punti deboli del problema
è la totale mancanza di un quadro giuridico internazionale che disegni e preveda
norme per lo sfruttamento delle risorse idriche e tuteli i diritti di tutti i “rivieraschi”. Esiste
una convenzione ONU del 1997 che
regola(!) l’uso dei fiumi “non a fini di navigazione”. Non emergono
molte possibilità per interventi sull’effettivo controllo dello sfruttamento
per tutti. Ancora una volta il più forte, specie se sta a monte resta il solo
padrone dell’acqua!
Analizzare i problemi,
individuare le soluzioni. Ma soprattutto conoscere le tematica con l’aiuto di
esperti: questo lo scopo dell’incontro. Un faccia a faccia con un giornalista
specializzato, un economista ed un militare esperto dei temi.