La foto ricordo del G7 di Taormina del 26 e 27 maggio prossimi metterà insieme leader esordienti come Donald Trump, Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron - fresco di vittoria - e Theresa May - in attesa di una simile vittoria -, e leader che di queste foto ne hanno fatte diverse, Angela Merkel (11), Shinzo Abe (5) e Justin Trudeau (2).
Lo scatto, difficile da prevedere solo un anno fa, diventerà - con ogni probabilità - il simbolo di un mondo profondamente mutato a seguito del cambio di inquilino alla Casa Bianca. Gli equilibri tra le varie potenze dovranno ricomporsi per far fronte alle politiche di chiusura e di divisione dell’attuale amministrazione americana. In particolare, i tre principali Paesi europei - Germania, Francia e Italia - dovranno mostrare unità, nonostante situazioni economiche e politiche parecchio distanti.
Germania, Francia, Italia: condizioni non comparabili La Germania registra la performance economica migliore: il tasso di variazione del prodotto interno lordo è in linea con la media dell’area dell’euro e pari all’1,6% - la disoccupazione è ai minimi storici - quella totale supera di poco il 4%, quella della fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, sfiora il 7% -, i conti pubblici sono in ordine.
Dal punto di vista politico, il Paese è stabile. Grazie a un approccio sul tema dell’immigrazione “meno tollerante e più europeo”, il governo è riuscito a arginare Alternative für Deutschland, una forza xenofoba e anti-sistema che sembrava destinata a dominare la scena politica tedesca.
I principali istituti demoscopici concordano nel prevedere che la Cdu e l’Spd dovrebbero raccogliere complessivamente i due terzi delle preferenze, nelle urne delle legislative di settembre: si profila, quindi, una riedizione della Grosse Koalition. A capo, dovrebbe esserci per la quarta volta Angela Merkel, visto che “l’effetto Schulz” sembra essersi esaurito: nelle recenti elezioni in Saarland, in Schleswig-Holstein e, soprattutto in Nord Reno-Vestfalia - Land tradizionalmente roccaforte dei socialdemocratici - il partito della cancelliera è arrivato primo, con risultati ben al di sopra delle attese.
Poi c’è la Francia che, con la battuta d’arresto inflitta al Front National di Marine Le Pen, ha acquisito una immagine politica decisamente rinnovata. Il Paese, però, ha bisogno di riforme - la crescita supera di poco l’1% e la disoccupazione si attesta al 10% - e di rigore fiscale - il disavanzo è al 3,3%, il debito sfiora il 100% del Pil.
E, infine, c’è l’Italia, in veste di padrona di casa ma in posizione di fanalino di coda: è lo Stato che cresce meno (1% del Pil) tra i paesi dell’eurozona, con il quarto livello più alto di disoccupazione (11,7% quella totale, 39% quella giovanile) e il secondo di debito (133%). Ma, soprattutto, è l’unico che vive una prolungata fase di incertezza politica anche perché non è riuscito a ridimensionare l’avanzata delle forze populiste.
Collaborazione e agenda economica A fronte del nuovo contesto, con i negoziati della Brexit alle porte e con Trump che mira ad indebolire l’Europa, dividendola, (e, infatti, dopo solo una settimana dal suo insediamento ha attaccato pesantemente il governo di Berlino e la sua politica commerciale), Germania, Francia e Italia non hanno alternativa che lavorare insieme.
Del resto, nessun Paese dell’Unione ha la forza e le dimensioni per agire da solo. A cominciare dalla Germania che, infatti, conta su un rafforzamento del tradizionale asse franco-tedesco per accelerare il processo di integrazione europeo. Sui temi dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa c’è da scommettere che non sarà difficile trovare una convergenza di vedute; su quelli economici, invece, la strada rischia di presentarsi in salita.
Alla proposta di una politica fiscale comune, avanzata in campagna elettorale da Emmanuel Macron, Angela Merkel si oppone. A suo avviso, la condivisione dei rischi può avvenire solo dopo una riduzione di tali rischi e, soprattutto, nel rispetto di quelle regole fiscali che la Francia viola da quasi un decennio. La cancelliera è consapevole, tuttavia, delle complessità, in termini di equilibri politici interni, che dovrà affrontare Macron.
Arroccarsi su posizioni troppo rigide, pertanto, rischierebbe di isolarla, come avvenuto durante la crisi. Dovrà quindi mediare, accettando tempi più lunghi per l’aggiustamento dei conti francesi in cambio di riforme. Procedendo in questo modo, verrebbe ripristinato un rapporto fiduciario minato in questi anni dalle tante promesse non sempre mantenute della presidenza Hollande.
La ritrovata fiducia consentirebbe a Macron di conquistare spazi negoziali su dossier come l’introduzione di un ministro delle Finanze unico o l’istituzione di un budget comune dell’eurozona, primi passi verso la costruzione di un’unione di bilancio, fondamentale secondo Macron, non solo per la Francia, ma per la tenuta dell’intero progetto europeo: “Bisogna far passare il principio dei trasferimenti da un Paese all’altro, altrimenti non ci sarà mai convergenza economica” ha ripetuto più volte nei mesi che hanno preceduto la sua elezione.
Italia: riforme o campagna elettorale? Certo, non sarà semplice convincere la Merkel: quest’ultima deve fare i conti con un elettorato tedesco che di Transfer Union, dopo ben otto salvataggi (tre alla Grecia, uno all’Irlanda, uno al Portogallo, uno alle banche spagnole e uno a Cipro), proprio non ne vuole sentire parlare. Macron ha, quindi, bisogno di alleati. In questa partita, l‘Italia potrebbe giocare un ruolo di primaria importanza. Con il governo di Roma impegnato a riprendere il cammino delle riforme - avviato e poi interrotto dalla perenne campagna elettorale - e a invertire la rotta del debito, per il neopresidente francese sarebbe più facile trovare un compromesso con la Germania.
Del resto, per un Paese come il nostro, che deve risanare le finanze pubbliche e tornare a crescere, non sembra esserci alternativa a un mix di riforme e rigore. Ciò richiede, però, un netto cambio di strategia. A questo proposito, la legge di stabilità dell’autunno prossimo rappresenta un importante banco di prova per capire se verrà data priorità ai conti oppure alla campagna elettorale.
Veronica De Romanis, economista, è autrice de “Il Caso Germania: così la Merkel salva l’Europa” (Marsilio editori).
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