Difesa europea La Difesa non è più il figlio illegittimo dell’Unione Michele Nones 26/02/2016 |
Di fronte alla nuova minaccia del terrorismo islamico e ai rischi derivanti dall’instabilità dei Paesi vicini ai suoi confini meridionali e orientali, l’Europa manifesta le sue debolezze e le sue contraddizioni. Fra queste, da una parte alcuni Stati membri chiudono le frontiere e “rinazionalizzano” la politica estera e di difesa, dall’altra tutti auspicano il rafforzamento delle capacità europee di difesa.
Ci si dimentica così che se “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, non ci può essere maggiore integrazione militare senza una maggiore integrazione politica.
L’Europa delle contraddizioni e degli espedienti
In realtà l’Europa è uno strano animale che evolve per approssimazioni successive, spingendo l’integrazione là dove risulta più necessaria e, quindi, politicamente più sostenibile. Di fronte ad un incendio che divampa vicino a casa, è, quindi, comprensibile che molti pensino sia necessario mettere da parte le divergenze e organizzarsi insieme per spegnerlo, rafforzando le capacità militari europee.
Qui ci si scontra con un’altra contraddizione: essendo nata dopo la Seconda Guerra Mondiale col preciso scopo di impedire nuovi conflitti, nel Dna dell’Unione Europea è stato inserito un “anticorpo” nei confronti di ogni attività militare: in parte non prevedendo iniziative in questo campo (ruolo della Commissione Europea e, parzialmente, del Consiglio e del Parlamento europeo), in parte con specifici divieti ad occuparsi di temi militari (Agenzia Spaziale Europea, Banca Europea degli Investimenti).
Questa situazione fa sì che non sia previsto esplicitamente un Consiglio Europeo dei soli Ministri della Difesa, non esista una Commissione Difesa nel Parlamento Europeo, non vi sia un filone per i progetti di ricerca militari nei Programmi Quadro, non possano essere finanziati programmi spaziali militari o programmi di investimento in equipaggiamenti o infrastrutture militari.
Per fortuna l’allargamento della “difesa” alla più ampia “sicurezza e difesa”, lo sviluppo della nuova dimensione duale nell’innovazione e nella realizzazione di equipaggiamenti ad alta tecnologia, la necessità di una comune capacità di proiezione internazionale hanno consentito di far rientrare dalla finestra quello che era stato buttato fuori dalla porta: l’Unione Europea ha, quindi, potuto, soprattutto in questo decennio, occuparsi di alcune problematiche della difesa.
In particolare questo è avvenuto, sul piano intergovernativo, attraverso l’attività dell’Agenzia Europea di Difesa e, su quello comunitario, attraverso la Csdp-Politica Comune di Sicurezza e Difesa che, ad esempio, ha consentito alla Commissione di lanciare la Preparatory Action on Csdp related research con cui, per la prima volta, si finanzieranno sperimentalmente alcuni progetti di ricerca nel campo della difesa.
Analogamente, in ambito Eif-Fondo di Investimento Europeo è prevista una limitazione dell’esclusione generale del settore difesa per quelle attività che sono parte o sono complementari alle politiche dell’Ue (fra cui vi è la Csdp).
Sembra, però, giunto il momento di cominciare ad eliminare anche formalmente le barriere che limitano e condizionano nuove possibili iniziative di integrazione nel campo della sicurezza e difesa. E necessario “sdoganare” il settore della difesa nel contesto dell’Ue e di tutti i suoi organismi, riconoscendone la pari dignità ai fini dell’accesso a tutte le iniziative europee e una pari considerazione negli interventi delle Istituzioni europee.
Rimuovere le barriere
Una prima barriera, anche ideologica, è stata rimossa con l’entrata in vigore, nel settembre 2014, del nuovo sistema di contabilità europeo Esa 2010 che considera le attività relative alle acquisizioni e R&T militari come investimento e non più come consumi intermedi.
Questo significa riconoscere che le spese per acquisizione di equipaggiamenti e R&T militare rappresentano veri e propri investimenti con conseguente creazione di ricchezza per il Paese, a prescindere dal loro ruolo indispensabile per garantire la difesa e sicurezza del Paese e dal fatto che, incrementando il Pil, si riduce, seppure quasi impercettibilmente, la percentuale del deficit.
Fra le altre barriere, vi è l’esclusione del settore difesa dall’area di intervento dell’Eib-Banca Europea per gli Investimenti. Un’impostazione che risulta, per altro, in contraddizione con il suo ruolo nel supportare l’integrazione europea, le politiche europee (fra cui c’è la Csdp), la crescita e l’occupazione.
Le conseguenze sono che il settore della difesa è escluso anche dall’Efsi-Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici e che vi sono maggiori difficoltà nella ricerca di finanziamenti a causa del tendenziale allineamento del settore bancario alla politica della Banca Europea (soprattutto in alcuni paesi, fra cui l’Italia).
Un’altra barriera è legata alla possibilità che la Commissione Europea e le Agenzie europee possano acquisire determinate capacità operative nel settore della protezione dalla minaccia ibrida (Nbcr e cyber), della sorveglianza dei confini esterni e del territorio, delle comunicazioni satellitari. Questo allargherebbe e qualificherebbe in senso europeo la domanda degli equipaggiamenti necessari.
Un diffuso ostacolo riguarda la divisione fra settore civile e militare nel campo delle strategie della Commissione Europea: nel campo aeronautico (Move), nelle telecomunicazioni (Connect), nella politica spaziale (Grow), nella cosiddetta circular economy (Env).
Ma l’obiettivo prioritario non può che essere quello di aprire il prossimo Programma Quadro per la ricerca e l’innovazione, da cui potrebbero venire importanti risorse aggiuntive a supporto di maggiori e migliori capacità europee nel campo della sicurezza e difesa. Se si pensa che l’attuale Programma Horizon 2020 dovrebbe attivare circa 80 miliardi di euro nei sette anni programmati, è evidente che, in futuro, anche una limitata percentuale di risorse potrebbe consentire all’Europa un salto tecnologico senza precedenti nel settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa, recuperando l’attuale preoccupante ritardo.
Michele Nones è Consigliere Scientifico dello IAI.
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L’Europa delle contraddizioni e degli espedienti
In realtà l’Europa è uno strano animale che evolve per approssimazioni successive, spingendo l’integrazione là dove risulta più necessaria e, quindi, politicamente più sostenibile. Di fronte ad un incendio che divampa vicino a casa, è, quindi, comprensibile che molti pensino sia necessario mettere da parte le divergenze e organizzarsi insieme per spegnerlo, rafforzando le capacità militari europee.
Qui ci si scontra con un’altra contraddizione: essendo nata dopo la Seconda Guerra Mondiale col preciso scopo di impedire nuovi conflitti, nel Dna dell’Unione Europea è stato inserito un “anticorpo” nei confronti di ogni attività militare: in parte non prevedendo iniziative in questo campo (ruolo della Commissione Europea e, parzialmente, del Consiglio e del Parlamento europeo), in parte con specifici divieti ad occuparsi di temi militari (Agenzia Spaziale Europea, Banca Europea degli Investimenti).
Questa situazione fa sì che non sia previsto esplicitamente un Consiglio Europeo dei soli Ministri della Difesa, non esista una Commissione Difesa nel Parlamento Europeo, non vi sia un filone per i progetti di ricerca militari nei Programmi Quadro, non possano essere finanziati programmi spaziali militari o programmi di investimento in equipaggiamenti o infrastrutture militari.
Per fortuna l’allargamento della “difesa” alla più ampia “sicurezza e difesa”, lo sviluppo della nuova dimensione duale nell’innovazione e nella realizzazione di equipaggiamenti ad alta tecnologia, la necessità di una comune capacità di proiezione internazionale hanno consentito di far rientrare dalla finestra quello che era stato buttato fuori dalla porta: l’Unione Europea ha, quindi, potuto, soprattutto in questo decennio, occuparsi di alcune problematiche della difesa.
In particolare questo è avvenuto, sul piano intergovernativo, attraverso l’attività dell’Agenzia Europea di Difesa e, su quello comunitario, attraverso la Csdp-Politica Comune di Sicurezza e Difesa che, ad esempio, ha consentito alla Commissione di lanciare la Preparatory Action on Csdp related research con cui, per la prima volta, si finanzieranno sperimentalmente alcuni progetti di ricerca nel campo della difesa.
Analogamente, in ambito Eif-Fondo di Investimento Europeo è prevista una limitazione dell’esclusione generale del settore difesa per quelle attività che sono parte o sono complementari alle politiche dell’Ue (fra cui vi è la Csdp).
Sembra, però, giunto il momento di cominciare ad eliminare anche formalmente le barriere che limitano e condizionano nuove possibili iniziative di integrazione nel campo della sicurezza e difesa. E necessario “sdoganare” il settore della difesa nel contesto dell’Ue e di tutti i suoi organismi, riconoscendone la pari dignità ai fini dell’accesso a tutte le iniziative europee e una pari considerazione negli interventi delle Istituzioni europee.
Rimuovere le barriere
Una prima barriera, anche ideologica, è stata rimossa con l’entrata in vigore, nel settembre 2014, del nuovo sistema di contabilità europeo Esa 2010 che considera le attività relative alle acquisizioni e R&T militari come investimento e non più come consumi intermedi.
Questo significa riconoscere che le spese per acquisizione di equipaggiamenti e R&T militare rappresentano veri e propri investimenti con conseguente creazione di ricchezza per il Paese, a prescindere dal loro ruolo indispensabile per garantire la difesa e sicurezza del Paese e dal fatto che, incrementando il Pil, si riduce, seppure quasi impercettibilmente, la percentuale del deficit.
Fra le altre barriere, vi è l’esclusione del settore difesa dall’area di intervento dell’Eib-Banca Europea per gli Investimenti. Un’impostazione che risulta, per altro, in contraddizione con il suo ruolo nel supportare l’integrazione europea, le politiche europee (fra cui c’è la Csdp), la crescita e l’occupazione.
Le conseguenze sono che il settore della difesa è escluso anche dall’Efsi-Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici e che vi sono maggiori difficoltà nella ricerca di finanziamenti a causa del tendenziale allineamento del settore bancario alla politica della Banca Europea (soprattutto in alcuni paesi, fra cui l’Italia).
Un’altra barriera è legata alla possibilità che la Commissione Europea e le Agenzie europee possano acquisire determinate capacità operative nel settore della protezione dalla minaccia ibrida (Nbcr e cyber), della sorveglianza dei confini esterni e del territorio, delle comunicazioni satellitari. Questo allargherebbe e qualificherebbe in senso europeo la domanda degli equipaggiamenti necessari.
Un diffuso ostacolo riguarda la divisione fra settore civile e militare nel campo delle strategie della Commissione Europea: nel campo aeronautico (Move), nelle telecomunicazioni (Connect), nella politica spaziale (Grow), nella cosiddetta circular economy (Env).
Ma l’obiettivo prioritario non può che essere quello di aprire il prossimo Programma Quadro per la ricerca e l’innovazione, da cui potrebbero venire importanti risorse aggiuntive a supporto di maggiori e migliori capacità europee nel campo della sicurezza e difesa. Se si pensa che l’attuale Programma Horizon 2020 dovrebbe attivare circa 80 miliardi di euro nei sette anni programmati, è evidente che, in futuro, anche una limitata percentuale di risorse potrebbe consentire all’Europa un salto tecnologico senza precedenti nel settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa, recuperando l’attuale preoccupante ritardo.
Michele Nones è Consigliere Scientifico dello IAI.
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