Europa e sicurezza internazionale Bilanci e cooperazione nella difesa: eppur si muove? Alessandro Marrone, Daniele Fattibene 05/02/2016 |
Il biennio 2015-2016 può rappresentare un punto di svolta quanto a spese per la difesa dei Paesi europei, segnando una reazione politica e militare all’arco di crisi che dall’Ucraina alla Libia, passando per la Siria, circondano l’Unione europea, Ue.
La cooperazione europea in questo campo segna invece il passo, affidandosi a una serie di formati bilaterali e regionali piuttosto che a un disegno organico ed efficiente.
Bilanci della difesa: fine del declino?
Nei 31 Paesi europei considerati dallo studio IAI si stima in media un aumento delle spese per la difesa nel 2016 pari all’8,3 per cento rispetto al 2015.
Si tratta di un deciso cambio di rotta rispetto a un declino che durava da venti anni e che si è acuito a seguito della crisi economica del 2008. I bilanci della difesa dovrebbero seguire dei trend positivi in tutte le regioni europee, con livelli maggiori in Europa centro-orientale (+19.9 per cento) e sud-orientale (+ 9.2 per cento).
Meno evidenti, ma comunque significativi, i cambiamenti previsti per i Paesi dell’Europa occidentale (+2.7 per cento) - dove si concentrano le spese di difesa più alte in termini assoluti - e quelli scandinavi (+1.6 per cento). Tuttavia, non è detto che l’aumento dei bilanci della difesa si protragga nei prossimi anni né che gli Stati spenderanno le loro risorse in modo più efficiente o rafforzando la cooperazione intra-europea.
Il panorama della cooperazione nel campo della difesa in Europa risulta particolarmente frammentato e diversificato. I Paesi analizzati hanno reagito in modo diverso alle crisi succedutesi dal 2014, a partire da quella in Ucraina fino agli attacchi terroristici di Parigi.
La risposta più forte è arrivata dagli Stati dell’Europa centro-orientale, sud-orientale e della Scandinavia. Diversa la situazione in Europa occidentale, dove la cooperazione nella difesa ha continuato a poggiarsi sui formati di cooperazione bilaterale o mini-laterale esistenti. Tra le novità più significative, da segnalare l’accordo per lo sviluppo del drone europeo Euromale tra Francia, Germania e Italia.
Una cooperazione di default e non per design
Sei trend hanno contraddistinto il panorama della cooperazione in difesa in Europa. Tra questi, spicca la tendenza da parte dei Paesi europei a privilegiare forme di cooperazione bilaterale o mini-laterale.
L’attitudine cooperativa è molto più forte tra Paesi confinanti, mentre un ruolo crescente è giocato dalla Germania oltre a quello, tradizionale, dagli Stati Uniti. Degno di nota è poi il tentativo da parte di molti governi di ridurre la propria dipendenza dalle forniture militari russe sia attraverso programmi di modernizzazione dei propri assetti sia tramite una progressiva diversificazione dei fornitori di sistemi d’arma ed equipaggiamenti.
La cooperazione è risultata meno marcata in Europa occidentale, dove si continua a fare affidamento su schemi di cooperazione preesistenti. In generale, vi è un basso livello di coordinamento tra la cooperazione intra-statale e il livello Ue, nonostante gli impegni formali presi in sede di Consiglio Europeo e le iniziative intraprese dalle istituzioni Ue, inclusa l’Agenzia Europea per la Difesa, la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza.
Emerge quindi un quadro molto frammentato a livello europeo, una sorta di cooperazione per default piuttosto che una strategia guidata da un disegno complessivo.
Quali sono stati i principali fattori che hanno trainato la cooperazione in difesa in Europa? Lo studio ne ha individuati diversi. In primo luogo, la politica aggressiva della Russia nel “vicinato comune” ha spinto molti Stati ad aumentare le forme di cooperazione in difesa, in particolare con i Paesi confinanti, per rafforzare sia le proprie capacità militari sia i rapporti con gli alleati occidentali.
È questo il caso particolarmente dell’Europa centro-orientale e della Scandinavia. In secondo luogo, le minacce non-convenzionali, in particolare il terrorismo di matrice islamica e più in generale l’instabilità nel vicinato meridionale con conseguente crisi migratoria, hanno giocato un ruolo significativo nell’influenzare le scelte di alcuni governi, a partire da quello francese.
In terzo luogo, il rinnovato focus sulla difesa collettiva da parte Nato è stato un fattore non trascurabile a favore sia di una maggiore spesa per la difesa sia di un rafforzamento della cooperazione intra-alleata, ad esempio tramite le iniziative della Very High Readiness Joint Task Force e della framework nation.
Quale ruolo per l’Italia?
In questo contesto, l’Italia mantiene una posizione piuttosto stabile, che potrebbe però rivelarsi insufficiente in un contesto europeo che si è rimesso in movimento. Le spese per la difesa non seguono lo stesso trend della grande maggioranza degli altri Stati europei, rimanendo cristallizzate a fronte del generale aumento in corso in Europa.
L’Italia continua ad essere una pedina importante nello scacchiere della cooperazione europea in materia di difesa ma, a parte la suddetta meritoria iniziativa sull’Euromale, resta al momento ai margini delle cooperazioni che si stanno sviluppando in Europa.
L’Italia dovrebbe investire maggiormente non solo nella relazione con Parigi, Londra e Berlino, ma anche con i Paesi dell’Europa centro-orientale (in primis la Polonia), e con quelli della regione balcanico-danubiana che rappresenterebbe una naturale area di proiezione per la cooperazione militare ed industriale nel campo della difesa.
In questo quadro, uno stimolo potrebbe essere offerto dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, che se attuato pienamente ed in tempi certi renderebbe il sistema-difesa italiano più in grado di cooperare in Europa.
Alessandro Marrone è Responsabile di Ricerca del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI Twitter @Alessandro__Ma; Daniele Fattibene è Assistente alla Ricerca del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI Twitter @danifatti.
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Bilanci della difesa: fine del declino?
Nei 31 Paesi europei considerati dallo studio IAI si stima in media un aumento delle spese per la difesa nel 2016 pari all’8,3 per cento rispetto al 2015.
Si tratta di un deciso cambio di rotta rispetto a un declino che durava da venti anni e che si è acuito a seguito della crisi economica del 2008. I bilanci della difesa dovrebbero seguire dei trend positivi in tutte le regioni europee, con livelli maggiori in Europa centro-orientale (+19.9 per cento) e sud-orientale (+ 9.2 per cento).
Meno evidenti, ma comunque significativi, i cambiamenti previsti per i Paesi dell’Europa occidentale (+2.7 per cento) - dove si concentrano le spese di difesa più alte in termini assoluti - e quelli scandinavi (+1.6 per cento). Tuttavia, non è detto che l’aumento dei bilanci della difesa si protragga nei prossimi anni né che gli Stati spenderanno le loro risorse in modo più efficiente o rafforzando la cooperazione intra-europea.
Il panorama della cooperazione nel campo della difesa in Europa risulta particolarmente frammentato e diversificato. I Paesi analizzati hanno reagito in modo diverso alle crisi succedutesi dal 2014, a partire da quella in Ucraina fino agli attacchi terroristici di Parigi.
La risposta più forte è arrivata dagli Stati dell’Europa centro-orientale, sud-orientale e della Scandinavia. Diversa la situazione in Europa occidentale, dove la cooperazione nella difesa ha continuato a poggiarsi sui formati di cooperazione bilaterale o mini-laterale esistenti. Tra le novità più significative, da segnalare l’accordo per lo sviluppo del drone europeo Euromale tra Francia, Germania e Italia.
Una cooperazione di default e non per design
Sei trend hanno contraddistinto il panorama della cooperazione in difesa in Europa. Tra questi, spicca la tendenza da parte dei Paesi europei a privilegiare forme di cooperazione bilaterale o mini-laterale.
L’attitudine cooperativa è molto più forte tra Paesi confinanti, mentre un ruolo crescente è giocato dalla Germania oltre a quello, tradizionale, dagli Stati Uniti. Degno di nota è poi il tentativo da parte di molti governi di ridurre la propria dipendenza dalle forniture militari russe sia attraverso programmi di modernizzazione dei propri assetti sia tramite una progressiva diversificazione dei fornitori di sistemi d’arma ed equipaggiamenti.
La cooperazione è risultata meno marcata in Europa occidentale, dove si continua a fare affidamento su schemi di cooperazione preesistenti. In generale, vi è un basso livello di coordinamento tra la cooperazione intra-statale e il livello Ue, nonostante gli impegni formali presi in sede di Consiglio Europeo e le iniziative intraprese dalle istituzioni Ue, inclusa l’Agenzia Europea per la Difesa, la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza.
Emerge quindi un quadro molto frammentato a livello europeo, una sorta di cooperazione per default piuttosto che una strategia guidata da un disegno complessivo.
Quali sono stati i principali fattori che hanno trainato la cooperazione in difesa in Europa? Lo studio ne ha individuati diversi. In primo luogo, la politica aggressiva della Russia nel “vicinato comune” ha spinto molti Stati ad aumentare le forme di cooperazione in difesa, in particolare con i Paesi confinanti, per rafforzare sia le proprie capacità militari sia i rapporti con gli alleati occidentali.
È questo il caso particolarmente dell’Europa centro-orientale e della Scandinavia. In secondo luogo, le minacce non-convenzionali, in particolare il terrorismo di matrice islamica e più in generale l’instabilità nel vicinato meridionale con conseguente crisi migratoria, hanno giocato un ruolo significativo nell’influenzare le scelte di alcuni governi, a partire da quello francese.
In terzo luogo, il rinnovato focus sulla difesa collettiva da parte Nato è stato un fattore non trascurabile a favore sia di una maggiore spesa per la difesa sia di un rafforzamento della cooperazione intra-alleata, ad esempio tramite le iniziative della Very High Readiness Joint Task Force e della framework nation.
Quale ruolo per l’Italia?
In questo contesto, l’Italia mantiene una posizione piuttosto stabile, che potrebbe però rivelarsi insufficiente in un contesto europeo che si è rimesso in movimento. Le spese per la difesa non seguono lo stesso trend della grande maggioranza degli altri Stati europei, rimanendo cristallizzate a fronte del generale aumento in corso in Europa.
L’Italia continua ad essere una pedina importante nello scacchiere della cooperazione europea in materia di difesa ma, a parte la suddetta meritoria iniziativa sull’Euromale, resta al momento ai margini delle cooperazioni che si stanno sviluppando in Europa.
L’Italia dovrebbe investire maggiormente non solo nella relazione con Parigi, Londra e Berlino, ma anche con i Paesi dell’Europa centro-orientale (in primis la Polonia), e con quelli della regione balcanico-danubiana che rappresenterebbe una naturale area di proiezione per la cooperazione militare ed industriale nel campo della difesa.
In questo quadro, uno stimolo potrebbe essere offerto dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, che se attuato pienamente ed in tempi certi renderebbe il sistema-difesa italiano più in grado di cooperare in Europa.
Alessandro Marrone è Responsabile di Ricerca del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI Twitter @Alessandro__Ma; Daniele Fattibene è Assistente alla Ricerca del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI Twitter @danifatti.
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