PARTE IV
MICHELE TAUFER
LE LINEE GUIDA PER IL FUTURO STRUMENTO MILITARE ITALIANO
Il 20 giugno 2014 il ministero della Difesa rilasciò il
documento intitolato “Linee guida per il
libro Bianco per la Sicurezza Internazionale e la Difesa”: consistente in
un’analisi preliminare finalizzata alla raccolta e alla valutazione degli
elementi necessari alla stesura del “Libro
Bianco” vero e proprio. Dal documento, così come da quanto emerso dal “Convegno Nazionale sulla Sicurezza e la
Difesa”, si evincono gli attuali trend dello scenario internazionale: uno
scenario caratterizzato da continui cambiamenti e da una serie di minacce alla
sicurezza di tipo multidimensionale in grado di trascendere quindi i confini
nazionali. Occorre quindi sviluppare un approccio complessivo ed altrettanto
multidimensionale per poter fronteggiare efficacemente le sfide alla sicurezza
poste dal sistema. Inoltre viene altresì notato come risulti fondamentale
comprendere anche la particolare natura politica degli attuali conflitti
caratterizzanti la dimensione transnazionale.[1] Lo
strumento militare che verrà delineato dal Libro Bianco dovrà quindi essere
Interforze, Internazionale, Interoperabile, Efficace, Efficiente ed Economico
(I3E3) così da poter affrontare sia ostilità di tipo asimmetrico che le più
tradizionali forme simmetriche di conflitto, anche ad alta intensità. Riguardo
alle forze opponenti è da attendersi che in futuro queste ricorreranno a forme
di contrasto non convenzionali anche sfruttando domini nuovi o tentando di
coinvolgere sia in maniera attiva che in maniera passiva le stesse popolazioni
civili. Un ambiente all’interno del quale le Forze Armate nazionali dovranno
essere pronte ad operare garantendo la protezione delle stesse e l’affermazione
delle realtà locali supportate. Gli obiettivi operativi delle Forze Armate
diventeranno sempre più complessi e sofisticati andando ben oltre la semplice
neutralizzazione cinetica della minaccia. La protezione e la tutela delle
popolazioni, lo sviluppo ed il sostegno delle realtà politiche locali saranno
svolte in concerto con le altre Istituzioni repubblicane e tendenzialmente in
un’ottica di partnership internazionale/sovranazionale: il mantenimento di un network
relazionale con queste entità amiche ed alleate risulterà fondamentale per il
conseguimento degli obiettivi strategici nazionali. Accanto a queste forme
“ibride” non verrà altresì tralasciata la possibilità di una minaccia militare
di tipo convenzionale il cui contrasto è in linea con l’assolvimento degli
impegni derivanti dalla difesa della Patria, della difesa comune europea e
quella integrata della NATO. Lo strumento derivante dovrà quindi assicurare:
·
L’integrità
territoriale e gli interessi vitali nazionali;
·
Il successo delle
operazioni in corso e le eventuali future esigenze di partecipazione
internazionale;
·
Una funzione di
deterrenza e di prevenzione di futuri conflitti in seno alle alleanze
costituite;
·
Un contributo al
concetto di risposta multidimensionale alle emergenze nazionali ed alle crisi
internazionali.[2]
E’ proprio attraverso la lente offerta da questi quattro output
auspicati dalle “Linee Guida del Libro
Bianco della Difesa” che si può provare ad osservare la dottrina nazionale
riguardante le operazioni affidate al COFS.
LE OPERAZIONI SPECIALI ITALIANE
Nella dottrina militare nazionale le Operazioni Speciali
vengono definite come:
“Operazioni
dirette a conseguire obiettivi di natura militare, politica, economica o
informativa in aree ostili di difficile accessibilità, o sensibili, spesso
attraverso l’uso di tecniche e mezzi non convenzionali e in modalità occulta o
clandestina. Le operazioni speciali si distinguono da quelle convenzionali per
il grado di rischio fisico e politico, per le tecniche impiegate e per
l’indipendenza da qualsiasi tipo di supporto amico, mentre presuppongono
un’accurata intelligence operativa.”
Nella categoria delle Forze Speciali rientrano tutte quelle
unità militari o paramilitari specificatamente organizzate, addestrate ed
equipaggiate per poter effettuare le Operazioni Speciali.[3] Queste
operazioni si svolgono in contesti non permissivi anche a grande distanza dalle
unità amiche. Materialmente un’unità dalla limitata consistenza organica si
infiltra in un’area obiettivo consegue nella stessa risultati di rilevanza
strategica e rientra alla propria base attraverso un complesso di movimenti e
di trasferimenti intermodali, multi-ambientali sovente non palesi e discreti. Data
la loro particolarità, queste operazioni presuppongono sempre la disponibilità
di unità di volo dedicate, sia ad ala fissa che rotante, così come di
specifiche risorse per il comando e controllo e per le comunicazioni. Inoltre le
Forze Speciali possono avvalersi del supporto di altre forze, selezionate tra
quelle più affini in termini di addestramento, mentalità e tipologia d’azione
come ad esempio le unità paracadutiste (rangers, esploratori o acquisitori
obiettivi) o anfibie.[4]
Ecco quindi che le Operazioni Speciali italiane non si
discostano dalla definizione NATO, e nel corso degli anni hanno continuamente
esercitato l’intero spettro di operazioni previste in seno all’Alleanza
Atlantica e rientranti nelle macro aree:
·
Ricognizioni
Speciali;
·
Azioni Dirette;
·
Assistenza Militare.
Da notare inoltre come in tempi recenti un particolare
reparto si sia aggiunto a questa famiglia di unità: trattasi del 28° Reggimento
Pavia dell’Esercito Italiano, il quale risulta dipendere dal Comando Forze
Speciali dell’Esercito (COMFOSE), Comando istituito nel settembre 2013 e
diventato pienamente operativo nel febbraio 2014.[5] L’unità
in questione è l’unica delle Forze Armate deputata alle comunicazioni
operative: un complesso di azioni finalizzate a creare, consolidare o
incrementare il consenso della popolazione locale nei confronti dei contingenti
militari in missione. Operazioni che nella terminologia militare americana
erano chiamate Psychological Operations
e che a partire dal 2010 sono conosciute come MISO.[6] L’Italia
riconosce quindi in maniera esplicita l’utilità di questo tipo di operazioni
specie se inserite negli attuali scenari dove il fattore umano, lo Human Domain, avrà sempre maggiore
importanza.
CONCLUSIONI
Le Operazioni Speciali e il complesso di unità deputate
alla loro conduzione e al loro supporto si sono dimostrate una componente di
enorme valenza strategica e di grande pregio all’interno di tutti i principali
strumenti militari mondiali. Naturalmente non fa eccezione il nostro Paese, il
quale le ha impiegate proficuamente nel corso degli anni riscontrando anche
stima ed apprezzamento da parte dei principali Paesi amici ed alleati vista
l’estrema professionalità degli operatori di questi reparti. Un utilizzo di
queste unità che, visti gli scenari futuri, non tenderà a diminuire ma bensì ad
aumentare portando con se nuove sfide legate ad esempio “all’usura” di uomini e
mezzi e al loro ricambio generazionale dato il progressivo trend di riduzione
quantitativa del personale appartenente alle Forze Armate. Bacino in cui questi
reparti traggono con non poche difficoltà la propria linfa vitale in termini di
volontari. E’ infatti la limitata consistenza numerica, derivante dall’estrema
severità nei criteri di selezione e d’addestramento, dovuta alla particolarità
dei profili psicofisico attitudinali, uno dei tratti distintivi di questi uomini
e donne. Queste forze, è bene ricordarlo, non sono riproducibili in massa e gli
operatori impiegano decine di mesi prima di raggiungere la prontezza al
combattimento.
Inoltre, è ora importante soffermarsi e riflettere su una
questione fondamentale e forse fin troppo sottovalutata: spesso vengono fatte
passare per Operazioni Speciali azioni che in realtà non lo sono, così come
specularmente, alcuni di questi reparti vengono impiegati in azioni fuori dal
loro campo d’applicazione. Un errore che deve essere assolutamente evitato: il
serio rischio è quello di vanificare le peculiarità di queste unità, giungendo
ad un utilizzo inefficace di questo vero e proprio strumento del potere
militare di una Nazione.
Per quanto concerne le operazioni indirette invece, il
nostro Paese prevede che queste vengano eseguite direttamente dalle Forze
Speciali: una postura perfettamente in linea con la dottrina NATO.
Addentrandosi più nel tecnico però ed assumendo una
postura propositiva:
·
vista la necessità
di una maggiore ottimizzazione delle risorse economiche nel campo della Difesa;
·
vista la ferma
intenzione da parte nazionale di continuare nell’integrazione degli Strumenti
Militari in ambito NATO/UE;
·
visto l’auspicio di
esercitare una funzione di deterrenza e di prevenzione dei conflitti in seno
alle alleanze costituite così come di essere in grado di fornire una risposta
multidimensionale alle crisi future;
Qualora venisse ritenuto operativamente rilevante uno
sviluppo ulteriore sia in termini qualitativi che quantitativi di queste
capacità indirette, rientranti appieno nel concetto di Special Warfare, , il nostro Paese potrebbe spingere verso una
maggiore integrazione di tipo interforze a livello intergovernativo NATO/UE.
Un’integrazione in grado di portare alla creazione di reparti ad hoc, ottenendo
così un output operativo ancora più elevato e perfettamente inserito nel
concetto di Global SOF Network, così
come aderente al massimo con gli
obiettivi del futuro “Libro Bianco della
Difesa”.
[1] Ministero
della Difesa, Convegno Nazionale sulla
Sicurezza Internazionale e la Difesa Relazioni dei partecipanti, Roma,
2014, pag 40. www.difesa.it/News/Documents/Convegno%20Nazionale%20Sic.%20e%20Difesa%20-%20Relazioni.pdf
[2] Ministero della Difesa, Linee Guida del Libro Bianco per la Sicurezza Internazionale e la Difesa,
Roma, 20/06/2014, pag 7,8. www.difesa.it/News/Documents/Linee%20Guida.pdf,.
[3] Stato
Maggiore della Difesa, Investire in
sicurezza Forze Armate: uno strumento in evoluzione, Piedimonte Matese,
Imagina Media S.r.l., Ottobre 2005.
[6] AnalisiDifesa,
Il 28° reggimento Psy Ops tra le forze
per operazioni speciali, 01/07/2014 www.analisidifesa.it/2014/07/il-28-reggimento-psy-ops-tra-le-forze-per-operazioni-speciali/
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