Terrorismo Califfato e crisi della società globale Roberto Iannuzzi 07/12/2015 |
All’indomani degli attacchi di Parigi, l’Occidente si è trovato davanti a un dilemma: chi è esattamente il nemico, e dove colpirlo? La difficoltà di definire il sedicente Stato Islamico traspare già dall’infinità di nomi che gli sono stati attribuiti.
Espressioni come “Stato” e “Califfato” sono particolarmente fuorvianti poiché ci danno l’impressione di confrontarci con una struttura centralizzata, cosa solo parzialmente vera.
L’acronimo arabo “Daesh”, che ultimamente sta prendendo piede anche in Occidente, ha invece il vantaggio di non attribuire significati specifici a questa entità, esaltandone la sua indeterminatezza.
Un sintomo del tracollo mediorientale
Daesh è in effetti solo il sintomo di una crisi più grave e profonda, che si articola su molti livelli. Il terremoto delle rivolte arabe del 2011, sommandosi ai cronici focolai di instabilità mediorientale degli ultimi decenni, ha provocato un vero e proprio collasso regionale che ha innescato nuovi conflitti.
Tale sconvolgimento trae origine da ragioni politiche, economiche e sociali che hanno segnato la crisi dello Stato-nazione arabo postcoloniale. Esso è inoltre frutto della crisi globale del 2008, la quale ha anche inasprito le contraddizioni interne al modello europeo e segnato l’inizio di un tumultuoso mutamento negli equilibri mondiali.
Daesh si annida nel vuoto di potere creato da conflitti prolungati, dalla presenza di innumerevoli fazioni in lotta, e dall’assenza di governi funzionanti in Iraq, Siria, Libia, Yemen, e altrove. In simili contesti di caos e violenza, la brutalità di Daesh non appare eccezionale, ma spesso equiparabile a quella di altri attori.
Anzi, l’organizzazione garantisce a coloro che governa servizi e sicurezza che altri soggetti spesso non forniscono. A cavallo tra Siria e Iraq, il gruppo ha fondato un proto-stato che legifera e tassa i propri cittadini.
Le metastasi del “Califfato”
Daesh va però al di là di questa realtà semi-statuale. Sfruttando la molteplicità dei focolai di crisi, esso si è replicato in molte parti della regione (la Libia è uno dei casi più preoccupanti). Allo stesso tempo si è assicurato un costante flusso di “combattenti stranieri”, provenienti dal mondo arabo-islamico e da altre regioni, fra cui l’Occidente.
Sebbene sia generalmente considerato come un gruppo oscurantista e medievale, Daesh ha molti tratti della modernità. Esso agisce come un marchio che opera in franchising, come già faceva Al-Qaeda dopo che venne distrutta la sua centrale in Afghanistan.
Nell’attuale contesto di crisi, l’organizzazione riesce a vendere il proprio marchio non soltanto perché ha un ottimo sistema di pubblicizzazione, ma perché può contare su una domanda costante, alimentata dalle aree di conflitto e dai regimi mediorientali, ma anche dalle sacche di emarginazione in Occidente.
Il problema, infatti, è anche in Europa, nelle banlieues francesi, nei quartieri belgi come Molenbeek, nel cosiddetto Londonistan della capitale britannica.
Gli attacchi di Daesh, rispetto a quelli della prima Al-Qaeda, sono a basso costo ed hanno un livello più elementare di organizzazione. I suoi esecutori possono essere neofiti, o persone che hanno compiuto un addestramento di settimane o mesi in qualche area di crisi del Medio Oriente (non necessariamente in Siria).
L’organizzazione ha un’economia diversificata, con introiti derivanti da forme di tassazione, estorsioni, traffici illeciti, vendita di materie prime. Essa può contare su connivenze politiche, collusioni finanziarie, e sulla complicità di interi stati (emblematico il caso della Turchia) a livello regionale e mondiale.
Daesh opera come gruppo terroristico, proto-stato, e organizzazione criminale. È una vera e propria rete di militanti, fiancheggiatori, comunità virtuali e interessi sparsi nel mondo. È realmente un termometro del deterioramento della società globale. Ne sfrutta le connessioni e le strutture, le reti clientelari e criminali.
Un nemico alimentato dallo scontro regionale
Daesh è allo stesso tempo potente e fragile. La sua realtà semi-statuale e la sua economia sarebbero insostenibili in un contesto di pace e legalità, ma prosperano in un quadro di conflitto e corruzione. L’organizzazione trae vantaggio dalle contrapposizioni regionali ed internazionali. Tramite le reti di trafficanti, ottiene perfino armi dai suoi nemici.
In assenza di risposte politiche ed economiche ai conflitti mediorientali, di un ripensamento del modello di integrazione europeo, e di una rinnovata governance globale, Daesh è destinato a sopravvivere, nella sua manifestazione attuale o in nuove forme.
Anche se la “casa madre” a cavallo tra Siria e Iraq venisse annientata, essa si polverizzerebbe in nuovi gruppi che si rifanno alla stessa ideologia, mentre altri spezzoni dell’organizzazione, come ad esempio quello libico, potrebbero assumere la leadership.
La corsa in ordine sparso a bombardare la Siria, inaugurata dalla Francia prima ancora degli attacchi di Parigi, difficilmente servirà a scongiurare nuove minacce terroristiche, ed anzi rischia di complicare ulteriormente la situazione regionale.
Viene il dubbio che questo caotico dispiegamento di mezzi militari, più che a combattere efficacemente Daesh, serva a permettere a coloro che vi prendono parte di posizionarsi più vantaggiosamente al tavolo negoziale che dovrebbe decidere i destini della Siria.
Il rischio, tuttavia, è che a causa delle rivalità fra gli attori coinvolti non si giunga ad alcuna soluzione. Ciò vorrebbe dire prolungare il conflitto, inasprendo ulteriormente le tensioni regionali e dando nuova linfa al terrorismo.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale (Twitter: @riannuzziGPC).
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L’acronimo arabo “Daesh”, che ultimamente sta prendendo piede anche in Occidente, ha invece il vantaggio di non attribuire significati specifici a questa entità, esaltandone la sua indeterminatezza.
Un sintomo del tracollo mediorientale
Daesh è in effetti solo il sintomo di una crisi più grave e profonda, che si articola su molti livelli. Il terremoto delle rivolte arabe del 2011, sommandosi ai cronici focolai di instabilità mediorientale degli ultimi decenni, ha provocato un vero e proprio collasso regionale che ha innescato nuovi conflitti.
Tale sconvolgimento trae origine da ragioni politiche, economiche e sociali che hanno segnato la crisi dello Stato-nazione arabo postcoloniale. Esso è inoltre frutto della crisi globale del 2008, la quale ha anche inasprito le contraddizioni interne al modello europeo e segnato l’inizio di un tumultuoso mutamento negli equilibri mondiali.
Daesh si annida nel vuoto di potere creato da conflitti prolungati, dalla presenza di innumerevoli fazioni in lotta, e dall’assenza di governi funzionanti in Iraq, Siria, Libia, Yemen, e altrove. In simili contesti di caos e violenza, la brutalità di Daesh non appare eccezionale, ma spesso equiparabile a quella di altri attori.
Anzi, l’organizzazione garantisce a coloro che governa servizi e sicurezza che altri soggetti spesso non forniscono. A cavallo tra Siria e Iraq, il gruppo ha fondato un proto-stato che legifera e tassa i propri cittadini.
Le metastasi del “Califfato”
Daesh va però al di là di questa realtà semi-statuale. Sfruttando la molteplicità dei focolai di crisi, esso si è replicato in molte parti della regione (la Libia è uno dei casi più preoccupanti). Allo stesso tempo si è assicurato un costante flusso di “combattenti stranieri”, provenienti dal mondo arabo-islamico e da altre regioni, fra cui l’Occidente.
Sebbene sia generalmente considerato come un gruppo oscurantista e medievale, Daesh ha molti tratti della modernità. Esso agisce come un marchio che opera in franchising, come già faceva Al-Qaeda dopo che venne distrutta la sua centrale in Afghanistan.
Nell’attuale contesto di crisi, l’organizzazione riesce a vendere il proprio marchio non soltanto perché ha un ottimo sistema di pubblicizzazione, ma perché può contare su una domanda costante, alimentata dalle aree di conflitto e dai regimi mediorientali, ma anche dalle sacche di emarginazione in Occidente.
Il problema, infatti, è anche in Europa, nelle banlieues francesi, nei quartieri belgi come Molenbeek, nel cosiddetto Londonistan della capitale britannica.
Gli attacchi di Daesh, rispetto a quelli della prima Al-Qaeda, sono a basso costo ed hanno un livello più elementare di organizzazione. I suoi esecutori possono essere neofiti, o persone che hanno compiuto un addestramento di settimane o mesi in qualche area di crisi del Medio Oriente (non necessariamente in Siria).
L’organizzazione ha un’economia diversificata, con introiti derivanti da forme di tassazione, estorsioni, traffici illeciti, vendita di materie prime. Essa può contare su connivenze politiche, collusioni finanziarie, e sulla complicità di interi stati (emblematico il caso della Turchia) a livello regionale e mondiale.
Daesh opera come gruppo terroristico, proto-stato, e organizzazione criminale. È una vera e propria rete di militanti, fiancheggiatori, comunità virtuali e interessi sparsi nel mondo. È realmente un termometro del deterioramento della società globale. Ne sfrutta le connessioni e le strutture, le reti clientelari e criminali.
Un nemico alimentato dallo scontro regionale
Daesh è allo stesso tempo potente e fragile. La sua realtà semi-statuale e la sua economia sarebbero insostenibili in un contesto di pace e legalità, ma prosperano in un quadro di conflitto e corruzione. L’organizzazione trae vantaggio dalle contrapposizioni regionali ed internazionali. Tramite le reti di trafficanti, ottiene perfino armi dai suoi nemici.
In assenza di risposte politiche ed economiche ai conflitti mediorientali, di un ripensamento del modello di integrazione europeo, e di una rinnovata governance globale, Daesh è destinato a sopravvivere, nella sua manifestazione attuale o in nuove forme.
Anche se la “casa madre” a cavallo tra Siria e Iraq venisse annientata, essa si polverizzerebbe in nuovi gruppi che si rifanno alla stessa ideologia, mentre altri spezzoni dell’organizzazione, come ad esempio quello libico, potrebbero assumere la leadership.
La corsa in ordine sparso a bombardare la Siria, inaugurata dalla Francia prima ancora degli attacchi di Parigi, difficilmente servirà a scongiurare nuove minacce terroristiche, ed anzi rischia di complicare ulteriormente la situazione regionale.
Viene il dubbio che questo caotico dispiegamento di mezzi militari, più che a combattere efficacemente Daesh, serva a permettere a coloro che vi prendono parte di posizionarsi più vantaggiosamente al tavolo negoziale che dovrebbe decidere i destini della Siria.
Il rischio, tuttavia, è che a causa delle rivalità fra gli attori coinvolti non si giunga ad alcuna soluzione. Ciò vorrebbe dire prolungare il conflitto, inasprendo ulteriormente le tensioni regionali e dando nuova linfa al terrorismo.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale (Twitter: @riannuzziGPC).
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