Alessio Pecce
Dopo l'iniziale difesa degli Stati Uniti, sembra arrivato il
momento anche da parte loro, di passare ad una risoluzione ONU in grado di
porre fine alla disputa terroristica in
Medio Oriente, condotta dall'ISIS, il quale è stato in grado di creare i
presupposti per un'alleanza tra Putin e Obama. L'obiettivo della risoluzione è
quello di porre un freno al mondo sunnita, le monarchie del Golfo e la Turchia,
colpevoli di aver finanziato le basi del califfato. Ragion per cui i turchi
hanno deciso di inviare truppe militari in Iraq, col fine di addestrare i
peshmerga curdi contro l'avanzata dello Stato Islamico, ma l'ingresso dei
militari turchi in Iraq, circa 150 (non secondo le fonti statunitensi che
parlano di circa 1200 unità), ha provocato sentimenti di discordia presso
Baghdad. È bene sottolineare come Mosul, città a nord dell'Iraq, sia un grande
centro petrolifero, che nel 2014 ha dato la “spinta” decisiva alla crescita del
califfato e in virtù di ciò il governo iracheno ne chiede il ritiro immediato,
accusando la Turchia di violazione della sovranità territoriale. Il premier
Haider al-Abadi afferma di un ingresso
militare turco in terra irachena, ufficialmente per addestrare la
popolazione, ma senza alcuna autorizzazione da parte delle autorità irachene. A
rincarare la dose ci ha pensato anche Fouad Masoum, presidente iracheno, il
quale parlando dell'ingresso turco fa riferimento, senza giri di parole, ad una
violazione del diritto internazionale, chiedendo pertanto il ritiro immediato e
sollecitando il ministero degli Esteri a prendere le dovute precauzioni per
garantire il rispetto della sovranità. Il governo turco, dal canto suo, si
difende invocando alle attività di addestramento a favore del popolo iracheno e
giustificandosi come portatore della conoscenza/pratica difensiva, a base
militare. A sostegno di ciò ci ha pensato il Ministro degli Esteri turco Mevlut
Cavusoglu, il quale cerca un ritorno al dialogo con la Russia, contrariamente
ad Erdogan che sostiene di poter attingere alle risorse di gas e petrolio
tramite altri paesi, snobbando così l'importanza geopolitica/strategica con il
Cremlino e incrementando di conseguenza la disputa iniziata dall'abbattimento
aereo sulla Penisola del Sinai. Nel frattempo è in fase di avvio un
riposizionamento delle potenze regionali, vista la possibilità di un'eventuale
alleanza USA-Russia e Teheran (alleata di Mosca) ha subito colto “la palla al
balzo”, a differenza dei “colleghi” arabi e turchi, forti anche di strategie a
medio-lungo periodo, in previsione della fine delle sanzioni all'Iran. Basti
pensare che già quattro anni fa l'Iran, in concomitanza con gli Hezbollah,
era l'unico paese a offrire sostegno a
Damasco e a contrastare i jihadisti: strategia che ha dato i suoi frutti,
considerando che ad oggi è presente,
oltre alla Russia, un'alleanza occidentale composta da Francia, Gran Bretagna e
Stati Uniti, le quali a loro volta, solo nel 2013, erano decise a bombardare
Assad.
Alessio Pecce (alessio-p89@libero.it)
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