Il 9 marzo il Consiglio europeo ha rieletto alla propria presidenza, per un secondo mandato di due anni e mezzo, il polacco Donald Tusk con 27 voti favorevoli e il solo voto contrario proprio del governo polacco.
Che aveva proposto un candidato alternativo, il diplomatico polacco ed ex vice-presidente del Parlamento europeo Jacek Saryusz-Wolski, membro dello stesso partito di Tusk (Piattaforma Civica) e del Partito popolare europeo dai quali è stato allontanato per avere accettato la candidatura proposta dai conservatori di “Diritto e Giustizia” (PiS) che guidano il governo polacco con la prima ministra Beata Szydło e hanno anche la presidenza della Repubblica polacca con Andrzej Duda.
Il partito di destra PiS, che in seno al Parlamento europeo fa capo al gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), ha vinto le elezioni dell’autunno 2015, aprendo diverse dispute con l’Europa su questioni come lo stato di diritto, il diritto all’aborto, la libertà di informazione e su temi ambientali.
Guidato dal suo leader Jarosław Kaczyński, fratello dell’ex presidente della Repubblica polacca morto nell’incidente aereo di Smolensk (Russia) nell’aprile 2010, il PiS ha aperto una stagione di rapporti altalenanti con l’Unione europea, Ue che hanno portato il Paese ad avvicinarsi all’Unione su questioni riguardanti la difesa e la Brexit, ma ad allontanarsi dai valori europei dello stato di diritto rischiando sanzioni da parte dell’Unione.
Le riforme contestate Sin dalla vittoria elettorale del 2015, i conservatori sono stati protagonisti dell’avanzamento di alcune dibattute proposte legislative che hanno riattivato il tessuto sociale polacco e la società civile, schieratasi fortemente contro con grandi manifestazioni nella capitale polacca.
Nel gennaio 2016 arriva il primo monito da parte della Commissione europea, preoccupata perché lo stato di diritto nel Paese si sarebbe trovato in un “pericolo sistemico” se fosse stata adottata la proposta di modifica del funzionamento della Corte costituzionale presentata dal governo, che avrebbe reso necessaria una maggioranza molto più ampia per bloccare un provvedimento governativo.
Tale misura, insieme a un maggiore peso dell’esecutivo nella scelta dei giudici costituzionali, avrebbe messo a rischio l’indipendenza dei giudici, che sarebbero stati sottoposti al potere esecutivo, e avrebbe reso quasi impossibile un effettivo controllo costituzionale delle leggi del governo, che avrebbe avuto molta mano libera.
Ovviamente, la Corte costituzionale ha bocciato tale provvedimento. Ma come risposta il Governo polacco ha rifiutato la pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta ufficiale, aprendo de facto una crisi istituzionale nel Paese. A ciò si aggiunge una proposta di legge per la riforma del settore dell’informazione, che prevede una limitazione per i giornalisti di accedere ai lavori parlamentari.
Al monito della Commissione di imporre sanzioni al Paese che mette a rischio la sua democrazia, la Polonia ha trovato un alleato nel primo ministro ungherese Viktor Orban, anch’egli noto per le sue propensioni alla concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo.
Dispute sullo stato di diritto Le gigantesche manifestazioni svoltesi nelle piazze del centro di Varsavia hanno spinto il Parlamento a respingere le leggi, in particolare quella che prevedeva il ricorso all’aborto solo in caso di pericolo di vita della donna, contro la quale le donne polacche hanno fortemente manifestato nel “lunedì nero” dell’ottobre 2016.
Anche la Commissione europea per la Democrazia tramite il Diritto, meglio conosciuta come Commissione di Venezia, facente capo al Consiglio d’Europa, ha condannato il governo polacco con un parere nell’ottobre 2016. Ma, per la prima volta nei 25 anni di attività della Commissione, un governo non ha presentato nessuna dichiarazione in risposta alla condanna.
La Commissione, che ha favorito le transizioni democratiche nei paesi dell’ex blocco sovietico tramite pareri e supporto dal punto di vista giuridico-costituzionale, aveva ricevuto una richiesta di parere da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
Come previsto dal modus operandi della Commissione, questa aveva fatto una visita nel Paese, cui aveva partecipato anche il presidente Gianni Buquicchio, il quale in una recente comunicazione del gennaio 2017 si dichiara “preoccupato del peggioramento della situazione all’interno della Corte costituzionale della Polonia”.
Squilibri asimmetrici Il governo polacco continua a respingere le varie condanne da parte delle varie istituzioni internazionali. Ma non sempre trova l’appoggio dei suoi alleati Ungheria e Repubblica Ceca, che hanno votato a favore della rielezione di Tusk.
Invece, su questioni come la difesa comune europea, la Polonia si sta riavvicinando alla Germania, spesso vista come un nemico e accusata di ‘germanizzare’l’Europa. Inizialmente contrario all’Europa a più velocità, il governo polacco potrebbe ora appoggiare tale proposta di Parigi e Berlino, che difficilmente potrebbero andare avanti se un Paese come la Polonia opponesse resistenza.
Se l’elezione di Trump e la Brexit hanno riavvicinato la Polonia all’Unione - in quanto essa ha timore di trovarsi sola di fronte alla Russia e teme per la grande comunità di polacchi che oggi lavora nel Regno Unito e invia cospicue rimesse in patria -, il Paese rimane ancora isolato nel contesto europeo a causa delle politiche perseguite dal governo conservatore.
Il rischio è che la Polonia approfitti di un’Europa a più velocità, cercando sostegno per quanto riguarda la difesa comune ma rifiutandosi, come già successo, di sottoscrivere politiche di burden sharing come la ricollocazione dei rifugiati nei Paesi europei.
Luigi Cino, dottorando presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
|
Nessun commento:
Posta un commento