L’America di Trump Aspettando Donald, il mondo col fiato sospeso Marinella Neri Gualdesi 14/01/2017
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Un clima di nervosa attesa caratterizza la politica internazionale mentre si avvicina l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il 20 gennaio prossimo.
Tutti aspettano che il nuovo presidente dia le carte, così da scoprire anche le proprie. Si assiste a una sostanziale paralisi dei principali attori nazionali e delle istituzioni multilaterali, favorita anche dal cambiamento al vertice delle Nazioni Unite, dall’incertezza che aleggia sulla direzione che assumerà la separazione tra Regno Unito e Unione europea, Ue, e soprattutto dall’imminenza di un lungo ciclo elettorale europeo (comincia l’Olanda, seguono Francia e Germania; e pure l’Italia potrebbe aggiungersi alla lista).
Putin, che pure si è mosso spregiudicatamente in Medio Oriente per tutelare i propri interessi strategici, sembra in attesa di passare all’incasso delle aperture e delle dichiarazioni di stima che il presidente eletto gli ha già anticipato.
Dopo le forti polemiche innescate dalla telefonata di Trump con la presidentessa di Taiwan, Pechino ha adottato una linea di wait and see. Nei confronti della Cina, accusata di “concorrenza sleale”, Trump ha minacciato di imporre pesanti dazi. Lo scontro con il capitalismo autoritario cinese, che detiene gran parte del debito pubblico americano, presenta peraltro molti rischi sia per Washington sia per Pechino.
Politica estera a suon di tweet Analisti e think tank sono impegnati soprattutto a giudicare l’eredità di Barack Obama e a valutare successi e insuccessi della sua presidenza, nonostante sia abbastanza evidente che con Trump la politica estera degli Stati Uniti imboccherà la strada di profondi cambiamenti.
Su questi cambiamenti, sul rischio di una regressione sistemica degli assetti internazionali costruiti dal secondo dopoguerra in avanti, aleggia un clima di grande incertezza. Per il momento, del resto, da Trump sono arrivati solo slogan e tweet.
La questione principale riguarda la volontà degli Stati Uniti di continuare a svolgere il ruolo che hanno esercitato, dal 1945 in avanti, nel sistema internazionale, sostenendo i valori liberali e il libero commercio, e in Europa come garante esterno della sua sicurezza.
Mantenere le alleanze e coltivare la cooperazione internazionale non sembrano in cima alle priorità del 45esimo presidente americano. Tutto lascia prevedere che si muoverà in modo opportunistico, senza una coerente strategia a guidare le scelte.
Il suo inner circle e le persone che ricopriranno gli incarichi di governo più rilevanti, spesso prive di ogni esperienza politica, rappresentano un forte segnale di discontinuità non solo con principi e politiche dell’amministrazione uscente ma con le pratiche che hanno guidato in passato gli Stati Uniti nel loro ruolo internazionale.
America first! Trump non sarà isolazionista; più probabile che prosegua il disimpegno attuato già da Obama per concentrarsi sui temi su cui ha imperniato l’agenda elettorale: restituire fiducia alla classe media americana, creare posti di lavoro, abbassare l’imposizione fiscale, ricostruire le infrastrutture del Paese.
In campo internazionale, l’America sarà sempre più attenta a valutare dove i suoi interessi sono in gioco per muoversi in modo molto selettivo. Americanism, and not globalism, will be our credo è la frase di Trump che meglio racchiude la sua visione. Anche se la sua indole volubile fa ritenere possibile un alto tasso di imprevedibilità nelle scelte che concretamente assumerà, il credo antiglobalizzazione è ciò a cui rimarrà probabilmente più fedele. Con la conseguenza di politiche di protezionismo economico e il rifiuto dei trattati commerciali multilaterali.
Trump non pensa che gli Stati Uniti debbano avere relazioni speciali con alcuni Paesi in quanto democrazie, che giudica intrinsecamente deboli. Si annuncia come un presidente transactional, che cerca accordi bilaterali anche con leader autoritari, se vantaggiosi per gli interessi statunitensi.
Silenzio Ue e ruolo dell’Italia A un approccio statunitense imperniato sul principio America First, un editoriale di Le Monde ha invitato l’Ue a rispondere con Europe First. Una prospettiva che appare alquanto illusoria.
Di fronte alla svolta nella politica americana rappresentata da Trump colpisce il silenzio di un’Europa smarrita e ripiegata su se stessa. L’Ue appare senza meta e incapace di costruire un approccio comune alle crisi internazionali. L’egemonia tedesca non può essere l’unico potere sovranazionale europeo.
L’Unione deve dimostrare di saper esprimere una leadership collettiva, quel modello di sovranità condivisa che rappresenta la “nuova Europa” costruita sulle macerie delle distruzioni provocate dai nazionalismi europei (pronti a tornare in auge, e probabilmente a ripetere gli stessi drammatici errori).
L’Italia si trova ad avere un’importante responsabilità: fare del sessantesimo anniversario della firma dei trattati comunitari, il prossimo marzo, non una mera celebrazione, ma l’occasione per aprire una nuova pagina nel percorso di integrazione europea. Tre i capitoli con cui scriverla: usare l’integrazione economica per promuovere la crescita e il lavoro per i giovani; rafforzare la dimensione della difesa comune e della sicurezza; varare una politica comune in materia di immigrazione.
Se davvero la solidarietà statunitense verso gli alleati e il rilievo della Nato dovessero diminuire, la spinta per l’Europa della difesa diventerebbe più forte. Tensioni con Washington sono probabili soprattutto se il futuro presidente americano insisterà sull’aumento delle spese militari da parte dei Paesi europei.
Il tema del burden-sharing non è nuovo nel dibattito transatlantico. Il Vecchio continente deve in ogni caso ripensare il proprio ruolo nella Nato, costruendo il pilastro europeo dell’Alleanza. Europa della difesa e collaborazione Nato-Ue non sono due obiettivi in contrapposizione. Un impegno che richiede, però, più investimenti e più volontà politica.
I presidenti che hanno preceduto Trump hanno considerato la prosperità e la sicurezza dell’Europa interessi essenziali per gli Stati Uniti. Ora che questo obiettivo sembra essere rimesso in discussione, è responsabilità anche dell’Europa essere all’altezza delle sfide che ha davanti.
Il mondo post-guerra fredda, in cui liberismo e democrazia sembravano non avere più rivali, è però finito. L’ordine multilaterale occidentale può ricevere un colpo mortale se è contestato non solo da attori esterni, ma dal suo stesso artefice principale e perno del sistema.
Da cosa sarà sostituito? È il grande interrogativo con cui si apre l’era Trump.
Marinella Neri Gualdesi è professore di Storia delle Relazioni internazionali all'Università di Pisa.
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