Il sistema internazionale si sta incrinando, consentendo la crescita del disordine e dei rischi di conflitto. Il comportamento bellicoso della Russia in Europa e ancora di più in Medio Oriente e quello della Cina nei mari a lei circostanti sono preoccupanti, anche perché segnalano la scarsa propensione di queste grandi potenze a collaborare al mantenimento degli equilibri esistenti.
Ma altrettanto grave è il moltiplicarsi di guerre e crisi regionali volute e gestite in prima persona da una serie crescente di medie potenze regionali, in dura competizione tra loro.
Le nuove tecnologie, in particolare quelle cibernetiche, hanno assunto un ruolo centrale nel campo economico, come in quello militare, ma è sinora mancata la volontà (e forse la capacità) di regolarne l’uso, cosicché quello che dovrebbe essere un bene comune è invece un vero e proprio campo di concorrenza selvaggia: un luogo di anarchia e criminalità (oltre che di piccole guerre “sporche”).
Il ruolo chiave degli Usa È ancora in piedi il sistema di istituzioni e accordi internazionali creato dalla fine della II Guerra Mondiale, che garantisce quel che esiste di governo globale. Ma al suo centro sono e restano essenziali gli Stati Uniti e il loro impegno politico, economico e militare.
Purtroppo il caos che caratterizza questa tornata elettorale americana rischia ora di perpetuarsi oltre l’8 novembre, giorno delle elezioni. La riapertura del caso delle e-mail da parte del Fbi potrebbe costare ad Hillary Clinton il successo sperato e al mondo la presidenza di Donald Trump.
Ma anche se questo non avvenisse, il rischio di un’incriminazione potrebbe pesare sino alla riunione del collegio dei grandi elettori (il 19 dicembre), che dovranno trasformare in effettiva elezione del nuovo Presidente le indicazioni politiche dei loro rispettivi stati, e forse anche oltre. Rischiamo insomma di avere a che fare con un Presidente dimezzato (ricattato?) oppure con un Presidente imprevedibile.
Ciò renderebbe molto più difficile agli Usa, anche se lo volessero, riprendere le fila della governabilità internazionale, consolidando le loro alleanze e ridando fiato e iniziativa alle grandi istituzioni globali, dalle Nazioni Unite al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale (per non parlare dell’Organizzazione mondiale del commercio, sempre più aggirata e svuotata dal moltiplicarsi di accordi bilaterali e multilaterali).
Lo scetticismo diffuso e le numerose critiche (a volte fondate) nei confronti di queste istituzioni non dovrebbero far dimenticare la loro utilità di fondo nei confronti di un sistema che, senza di esse, sarebbe molto più insicuro e squilibrato.
Un interesse vitale europeo Tutto questo si ripercuote direttamente sull’Europa, sulla sua sicurezza e sul suo futuro. L’Ue è insieme l’esempio più sviluppato e complesso di organizzazione internazionale, e il più dipendente dal funzionamento complessivo delle regole e degli equilibri internazionali.
Il montare della conflittualità ai suoi confini orientali e meridionali va in parallelo col crescere di gravi problemi politici interni, dalla Brexit al montare del populismo e del nazionalismo anti-europeo: gli attacchi ripetuti al principio di solidarietà tra i membri dell’Unione rischiano di tradursi in una crisi paralizzante, politica e istituzionale.
In questa situazione sarebbe essenziale poter contare su una forte leadership (e garanzia) americana, ma purtroppo siamo lungi dal poter esserne certi. Al contrario, si delinea un difficile scenario in cui potrebbero dover essere gli europei a sospingere, incoraggiare ed aiutare gli americani ad esercitare il loro ruolo.
Quando un cieco guida un altro cieco Il rischio, come nel bel quadro di Peter Brueghel il Vecchio che illustra la parabola dei ciechi, è che l’uno porti l’altro a cadere assieme nel fosso. Forse mai come in questo periodo si sente l’esigenza di una forte e consapevole politica estera, di sicurezza e difesa dell’Unione.
La cosa è resa più difficile dalla Brexit, non solo o non tanto perché priva l’Ue di un importante e sperimentato attore internazionale (che peraltro non è mai stato molto disponibile al gioco di squadra in questo campo) ma perché aggiunge forti elementi di distrazione e di incertezza rispetto ai veri problemi che la politica estera europea dovrebbe affrontare.
Il documento di strategia globale europea preparato dall’Alto Rappresentante e accettato dal Consiglio europeo è sostanzialmente ottimista sulle capacità europee e sulle evoluzioni globali. In ciò non vi è nulla di male, al contrario, è un incentivo a procedere perché il successo è possibile, anche se tutt’altro che scontato. Tuttavia il rischio è che in questo modo venga sottovalutata l’urgenza di prendere le decisioni necessarie e la drammaticità di alcune di esse.
Un elenco preoccupante Ci aspettano decisioni difficili. In Siria ed in Iraq dobbiamo decidere cosa fare con governi ancora al potere, ma che in realtà sono parte del problema. Quale ruolo giocare tra Turchia, Iran e Arabia Saudita? Cosa intendiamo fare di fronte alla prospettiva di una crescente presenza militare russa, con nuove basi nel Mediterraneo?
A parte la Crimea, come affrontare la divisione in due dell’Ucraina? Come rispondere al riarmo nucleare della Russia? Come intendiamo procedere in Libia? Può esistere un ruolo europeo per la gestione dei conflitti in Africa (e per affrontare la questione degli stati falliti)? Intendiamo avere una politica e una presenza negli equilibri dell’Asia meridionale e dell’Asia-Pacifico?
Abbiamo lavorato in questi anni per accrescere la cooperazione tra l’Ue e organizzazioni come l’Onu, l’Unione Africana e l’Asean. Ora bisogna capire se abbiamo le capacità e la volontà per costruire su questo patrimonio una politica di proiezione della sicurezza.
Queste non sono scadenze a tempo indeterminato. Altre potenze sono attive in questi quadranti, da quelle regionali alla Russia e alla Cina. Gli Stati Uniti, con i loro alleati europei ed asiatici, sono riusciti sino ad ora, bene o male, a garantire un quadro stabile di sicurezza in tutte queste aree, ma è tutt’altro che certo che potranno o vorranno farlo ancora a lungo. È necessario e urgente incoraggiarli ed aiutarli in tal senso, per la nostra stessa tranquillità.
Stefano Silvestri è direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI.
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