A molti forse è sfuggita l’inedita disputa avviata dagli Stati Uniti nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) in relazione al giudice sud-coreano Seung Wha Chang. A Chang viene negata l’approvazione a un secondo mandato nell’Organo di Appello del Meccanismo per la Risoluzione delle Controversie per aver travalicato il proprio compito di mera interpretazione delle norme vigenti in sentenze rivelatesi sfavorevoli alle tesi americane.
L’indebolimento delle regole universali Il Meccanismo in questione è un pilastro del sistema commerciale globale, inaugurato con gli Accordi di Marrakesh nel 1994. Prevede che, nel caso di contenzioso sui comportamenti commerciali di un’impresa, venga istituito un Panel di esperti giuridici la cui pronuncia, con possibilità di appello, venga poi adottata dall’intera membership in apposita assemblea plenaria.
Chiamati in giudizio sono i due (o più) Stati interessati. L’adozione in plenaria è pressoché automatica in quanto acquisita mediante la formula “unless there is consensus against the adoption”. La stessa procedura si applica poi al monitoraggio dell’attuazione delle sentenze ed eventualmente all’autorizzazione di misure compensative in caso di mancata modifica della legislazione nazionale incriminata. L’intero procedimento si svolge quindi tra Stati, richiede l’unanimità della membership, e ha carattere cogente.
Rari sono stati i casi di opposizione alla nomina o alla conferma dei giudici in questi decenni. Ma contestare un giudice nelle attuali circostanze è un segnale di portata particolarmente rilevante.
L’Omc registra infatti un declino di credibilità a seguito dello stallo del Doha Development Round, ciclo negoziale avviato nel 2001 con il fine specifico di un miglior coinvolgimento dei Paesi emergenti e in Via di Sviluppo nel sistema globale di regole del commercio internazionale, e arenatosi nel 2008 per le profonde divergenze in tema di sussidi e sostegni socio-economici specie, ma non solo, nel settore agricolo.
La Conferenza di Bali nel 2013 non ha registrato che risultati marginali. Né le raccomandazioni dell’allora Direttore generale Pascal Lamy, di procedere con gradualità, codificando quanto fosse possibile concordare stadio per stadio, sono valse a rivitalizzare le trattative. Nel frattempo, su iniziativa di Washington va affermandosi la nuova tendenza verso aggregazioni regionali, quali il Ttip (TransatlanticTrade and Investments Partnership) con l’Europa, il cui negoziato è in corso, e il Tpp (Trans-Pacific Partnership), già negoziato, con l’area del Pacifico.
I passi indietro degli Stati Uniti Washington è stata fin dagli anni ’80 il motore propulsivo della liberalizzazione globale e delle relative regole mondiali. Ha sostanzialmente guidato il processo che ha portato alla creazione dell’Omc e agli ambiziosi risultati dell’Uruguay Round. Ma negli anni, ha poi dovuto riconoscere la difficoltà di gestire al contempo il rispetto di tali regole e la forza delle proprie lobbie interne. Cercando talvolta di difendere l’indifendibile, a fronte di pronunce sfavorevoli dei Panel giudicanti.
Emblematico il caso del contenzioso con il Brasile sui sussidi ai produttori americani di cotone, sanato, dopo anni, non con l’adeguamento della legislazione americana, come avrebbe dovuto essere, ma con un’intesa extra-giudiziale che ha previsto compensazioni per i produttori danneggiati.
Sotto questo profilo, il metodo di Risoluzione delle Controversie dell’Omc si è rivelato per l’Amministrazione americana ingombrante e assai difficile da sostenere. Pesano i meccanismi semi-automatici delle decisioni finali, il consenso universale richiesto per le medesime, e soprattutto il coinvolgimento diretto dello Stato a difesa di interessi specifici del settore privato.
A tutti questi problemi cerca di ovviare il nuovo sistema proposto da Washington nel contesto delle aggregazioni regionali sopra citate. Oltre a limitare il campo di applicazione delle nuove regole ai Paesi Avanzati di cui si suppongono sistemi omogenei (con esclusione quindi di Cina, Russia, oltre che Emergenti e Pvs), in tema di Risoluzione delle Controversie attribuisce al settore privato stesso l’onere di portare uno Stato in giudizio a salvaguardia del proprio specifico interesse (Investor-State Dispute Settlement). Una formula che, se esonera lo Stato dell’impresa reclamante dal coinvolgimento diretto nel contenzioso, statuisce inequivocabilmente, nel momento in cui una sentenza dovesse sancire la modifica della legislazione nazionale dello Stato chiamato in giudizio, il primato dell’interesse privato sul più ampio interesse pubblico.
Il ruolo del negoziato Ttip Interpretando le forti obiezioni dell’opinione europea, il Parlamento di Strasburgo l’8 luglio dello scorso anno ha adottato una Risoluzione che afferma la necessità di conferire carattere ‘trasparente e pubblico’ al sistema di protezione degli investimenti, nonché ‘l’impossibilità per gli interessi privati di minare la politica pubblica’.
La Commissione, che negozia per la Ue, nel settembre 2015 ha quindi adeguato il proprio approccio negoziale introducendo l’obbligo di assoluta trasparenza, e proponendo due gradi di giudizio e l’impiego di esperti giuridici altamente qualificati al fine di contenere la sfida posta dagli interessi privati. La nuova versione è in discussione con gli Stati Membri e dovrebbe essere sottoposta alla controparte americana entro l’anno.
Un negoziato è un negoziato, e pertanto l’esito finale non è al momento pregiudicato. Ma non sfugge che il confronto su questo particolare capitolo riguarda un aspetto fondamentale della nuova spinta alla globalizzazione, un aspetto che tocca le corde più sensibili dell’Europa - più ancora, se possibile, che la salvaguardia degli standard europei ambientali e sanitari o l’apertura del mercato americano degli appalti pubblici - e cioè la capacità degli Stati di ‘governare’ la globalizzazione.
Correttamente, l’Italia avanza come paracadute il principio del “single undertaking” - nulla è concordato finché tutto non è concordato. Ma la contestazione, in questo momento, del giudice Wha Chang da parte americana non è un buon viatico.
Laura Mirachian, Ambasciatore, già Rappresentante Permanente presso l’Onu, Ginevra.
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