In un’epoca di grandi problemi per il reclutamento politico in ogni angolo dell’Occidente, la conferma del vecchio Jeremy Corbyn alla leadership dei laburisti inglesi (battendo Owen Smith con un margine del 24%) esprime una fortissima reazione - soprattutto da parte dei giovani - contro i metodi di mobilitazione e persuasione praticati dalle macchine partitiche tradizionali negli ultimi decenni, tutti apparentemente convinti che la politica sia un gioco di mercato anch’esso, dove le regole sono dettate dai mass media.
Corbyn invece ha concentrato i suoi sforzi sui social media dove ha trovato il richiamo che ha favorito l’entrata di una straordinaria massa di nuovi iscritti al vecchio partito laburista. Il fenomeno è particolarmente impressionante dato che questa fascia d’età si è rivelata negli ultimi anni allergica a qualsiasi forma di partecipazione politica, a partire dal voto. Basti pensare che solo il 30 per cento di questa fetta della società si è espresso nel referendum per la Brexit.
Il futuro del governo ombra Resta da vedere in che modo questa affermazione di Corbyn si tradurrà in una effettiva leadership dentro e fuori il parlamento. Contestato duramente, formalmente sfiduciato dai parlamentari labour prima dell’estate, Corbyn deve ora ricostruire il governo ombra - più di 50 posti sono attualmente vacanti - e far capire come intende gestire il Comitato centrale del Partito.
A differenza del Partito conservatore, dove vige un inossidabile rispetto per le gerarchie di status, successo e pedigree politico, all’interno del partito laburista c’è la convinzione che tutti abbiano gli stessi diritti - o almeno pari dignità - nel ricercare un posto negli vari organi del partito.
Nella situazione attuale regna una confusione totale su come Corbyn intenda gestire le sue responsabilità di leader: favorendo elezioni democratiche per il governo ombra o imponendo regole che possano garantire a lui e i suoi - compreso i super-militanti del movimento che lo hanno sostenuto fino ad ora, ‘Momentum’ - un controllo completo del Consiglio nazionale esecutivo del partito.
Movimento di massa più che partito di governo Tutti si aspettano ora - anche dentro e dopo il congresso del partito che si è svolto in questa fine settimana - un duro regolamento dei conti con la maggioranza in Parlamento che non aveva mai espresso tanta fiducia nei confronti di Corbyn, arrivando addirittura a sfiduciarlo.
Molti temono che la lotta per domare le varie faide in corso nel partito - e dentro il mondo sindacale, anch’esso diviso sul personaggio - possa assorbire gran parte delle energie, della credibilità e del capitale politico di Corbyn.
In tal caso, che fine faranno la passione e le energie dei tanti nuovi iscritti che si sono commossi per la purezza e coerenza di questa vecchia figura di profeta del socialismo stile britannico, così dogmaticamente pragmatico e moralistico, così poco ideologico ?
Anche se Corbyn è convinto che il suo partito deve esprimersi soprattutto come movimento che nasce dal basso, piuttosto che come pura forza di governo, non ha ancora presentato alcun progetto per la sua corrente. Oltre alle solite assemblee locali e alle mobilitazioni in vista delle varie scadenze elettorali, servirebbe un progetto per rilanciare l’antica tradizione laburista di istruzione ed educazione politica, tentando di elevare il livello culturale - ora penoso - dei dibattiti politici in Gran Bretagna.
Regno disunito Nonostante il suo legame con i nuovi media, in termini di contenuti e di proposte politiche specifiche, Corbyn torna al tradizionale modello del welfare state: sistema sanitario, edilizia sociale, scuola pubblica non privata; ri-nazionalizzazione delle ferrovie e di altri settori; rilancio del ruolo dello Stato nell’economia in grande stile; terzomondismo; opposizione al nucleare sia in campo militare che civile.
Eppure ora nel Regno Unito non c’è solo questo in gioco. La sfida della Brexit dominerà per anni l’evoluzione economica e politica del Paese. Il Partito laburista è crollato proprio in Scozia, dove ha stravinto il Remain (sostenuto blandamente da Corbyn) e che vuole sempre più autonomia da Londra anche per questo motivo. Si profila un’inedita crisi costituzionale per il sempre meno United Kingdom.
Intanto il ruolo delle grandi potenze nel mondo - Usa, Cina, Russia, India - e la globalizzazione in tutte le sue versioni condizioneranno la situazione di tutti gli europei con modalità ben diverse rispetto a quelle terzomondiste e buoniste di Corbyn.
Avanzano le problematiche delle migrazioni, del cambiamento climatico, del fondamentalismo islamico. Chi riuscirà a domare i mercati finanziari internazionali e quelli energetici e digitali? Corbyn è convinto davvero che si possa affrontare tutto ciò - e sconfiggere i Tories alle elezioni generali - chiamando ogni tanto alla riscossa i suoi tanti giovani fan tramite Facebook e Twitter?
David Ellwood, Johns Hopkins University, SAIS Bologna Center.
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