22 gennaio 1944 - 22 gennaio 2025 Lo Sbarco ad Anzio
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4 ore fa
Blog di base per l'approfondimento della Geografia Politica ed economica attraverso immagini, cartine, grafici e note. Spazio per lo studio attraverso la Geografia Statistica delle varie aree di crisi. Espressione esterna del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro (www.cesvam.it) (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
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Il 28 giugno l’Alto Rappresentante dell’Unione europea, Ue, Federica Mogherini ha presentato la Strategia Globale dell'Unione europea (Eugs) per la politica estera e di sicurezza al Consiglio europeo.
L’Eugs segue, a distanza di tredici anni, il primo ed unico documento sul tema, l’European Security Strategy promosso da Javier Solana. Il Consiglio europeo ha accolto con favore la presentazione dell’Eugs, in uno degli ultimi atti dei 28 paesi membri seduti intorno al suo tavolo. Nonostante Brexit Mogherini ha deciso di proseguire con la EU Global Strategy il 24 giugno, a poche ore dal drammatico risultato del referendum della Gran Bretagna che ha visto prevalere i voti del Leave. Tale decisione non era scontata. Alcuni possono aver pensato che si sia trattato dell’ennesimo caso della distanza dell’Ue dalla realtà politica del momento. A dire il vero, nei mesi che hanno preceduto il referendum in Uk, avevamo pensato che nel caso in cui il voto di uscita fosse prevalso, avremmo dovuto fare un passo indietro e rimandare la presentazione dell’Eugs nel futuro. Quando mi sono giunti i sconvolgenti risultati il 24 giugno, ho pensato che sarebbe stato tutto annullato. E infatti nell’immediato l’Alto Rappresentante era proprio propensa a farlo. Tuttavia, con il passare delle ore, è diventato chiaro che rimandare la presentazione dell’Eugs non sarebbe stato realistico. Nei mesi a venire, l’Ue sarebbe stata così occupata nella Brexit, le cui conseguenze saranno probabilmente molto profonde, da portare all’abbandono dell’Eugs se non fosse stata pubblicata. È stata proprio la comprensione della portata della crisi interna all’Ue che ha convinto l'Alto Rappresentante ad andare avanti sulla politica estera. Mogherini ha ritenuto che abbandonare la presentazione dell’Eugs avrebbe significato fare un gran torto all’Unione. Il documento è il frutto di quasi due anni di un sostanzioso lavoro di riflessione e confronto che ha visto l’attiva partecipazione di tutti gli stati membri e istituzioni Ue, oltre a tutta la comunità che si occupa di politica estera. Conferenze e dibattiti, online e offline, sono stati organizzati in tutte le capitale europee, e non solo. Il processo ha beneficiato del contributo di accademici e studenti, Ong che si occupano di diritti umani e associazioni dell’industria della difesa, think tank, sindacati, associazioni d’impresa e la Chiesa Cattolica, fra i tanti. E tutti i 28 paesi membri erano soddisfatti del risultato. Una visione di lungo periodo Come mi ha detto l’Alto Rappresentante il 24 giugno: “Il lavoro è finito”. Quindi perché accantonare il documento? Non è un atto dovuto di responsabilità politica dimostrare proprio in un periodo di crisi come questo che l’Europa può ancora essere unita? È vero: a giugno 2016 l’Eugs non avrebbe ricevuto l’attenzione da parte del Consiglio europeo o dai media che molti pensano avrebbe meritato. Tuttavia, sarebbe stato ingenuo pensare che un documento strategico con una visione di lungo periodo potesse raggiungere le prime pagine o essere oggetto di profonde riflessioni da parte dei capi di Stato e di governo. E comunque, non era lo scopo con il quale era stato scritto. Lo scopo dell’Eugs era ambivalente. In primo luogo si voleva raggiungere, attraverso un ampio e approfondito processo di discussione strategica, l’unità di tutti gli attori coinvolti. Il contenuto dell’Eugs non sarebbe cambiato a causa della decisione dell’Uk di lasciare l’Ue. Ciò che dobbiamo fare in Medio Oriente e Africa, in America Latina o presso l’Onu, ciò che ci dobbiamo prefissare di ottenere nel campo della difesa, del commercio, dello sviluppo, del clima o sul tema delle migrazioni è rimasto sostanzialmente inalterato dopo la Brexit. Dalla strategia all’azione Ciò che è cambiata è la nostra capacità di azione. La decisione dell’Uk di abbandonare l’Ue ha assestato un duro colpo prima di tutto all’Uk stesso, ma anche all’Ue. Perdendo l’Uk, la Ue ha perso uno dei suoi più importanti paesi membri, forse quello con il più alto profilo globale, sia in termini di commercio, sviluppo, difesa o diplomazia. Senza l’Uk, l’Ue rischia di essere meno capace di raggiungere gli obiettivi che si è posta. Nonostante ciò, quegli stessi obiettivi e interessi restano vitali. L’Ue ha quindi oggi ancor più il dovere di garantire un futuro di sicurezza, libertà e prosperità ai propri cittadini e deve farlo rimanendo unita e agendo in maniera responsabile sullo scacchiere globale. E questo è precisamente ciò che l’Eugs si propone di fare. Tuttavia, la Strategia resta solo un documento che tratteggia una narrativa comune per l’Unione. In secondo luogo, infatti, l’Eugs si propone di andare oltre a questa visione condivisa, in favore di un’effettiva azione comune. E questo è precisamente il motivo per cui la presentazione dell’Eugs non poteva essere rimandata. L’Eugs doveva essere pubblicato per dare avvio al suo sviluppo. Da più punti di vista, è qui che inizia il vero lavoro. I cittadini europei meritano una visione condivisa e un’azione comune. * Articolo pubblicato da El País. Traduzione a cura di Matteo Garnero, stagista dell’area Europa dello IAI. Nathalie Tocci è vicedirettore dello IAI. |
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Il quadro dell’Unione Europea, Ue, profondamente scosso dall’esito del referendum inglese del 23 giugno scorso, è quasi quotidianamente reso ancor più oscuro da nuovi sviluppi, fra i quali abbiamo registrato di recente l’annuncio di due altre consultazioni popolari, entrambe per la data del 2 ottobre: una in Ungheria contro l’immigrazione e contro le regole europee per organizzarla e una in Austria per la ripetizione del ballottaggio onde eleggere il Presidente della Repubblica, così riaprendo l’accesso alla carica ad una personalità dell’estrema destra xenofoba.
Il dibattitto sul futuro dell’integrazione europea Ma non meno preoccupante è il contenuto dell’intervista a Wolfgang Schaeuble, apparsa sul Corriere della sera di lunedì scorso. In essa il Ministro dell’economia tedesco, dopo aver ribadito la sua sostanziale opposizione agli investimenti per la crescita, afferma che questo “non è certo il momento giusto di lavorare a una maggiore integrazione dell’eurozona”. Per aggiungere che, “se la Commissione non collabora” e poiché non “preoccupa la gente se il Parlamento europeo abbia o meno un ruolo decisivo”, è bene che “risolviamo noi questi problemi tra i governi, al di fuori delle istituzioni”. È la consacrazione del dominio dell’approccio intergovernativo che, forzando i Trattati in vigore, discende dal vertice della piramide geopolitica reintrodotta nel Vecchio Continente. In tale contesto non sorprende che il dibattito sul futuro dell’integrazione europea assuma un carattere esistenziale, vagando fra un estremo, quello del “ritorno ad Altiero Spinelli” per risuscitare ipotesi di unità federale, e l’estremo opposto, quello della restituzione della piena sovranità agli stati che in numero finora crescente hanno aderito al processo integrativo, ora dato per prossimo al coma terminale. È certo poco ragionevole, e per alcuni potenzialmente controproducente, attribuire molte chance al primo scenario, e ciò non solo per la suddetta indisponibilità, o incapacità di leadership, del maggiore stato membro dell’Unione. Nelle mani esclusive delle “nazioni” Quanto al secondo, l’idea di rimettersi nelle mani esclusive delle “nazioni” in sostituzione delle istituzioni comuni sembra trarre nuovo alimento non tanto da nazionalismi tradizionali, quanto dalla spinta composita, se non contraddittoria, di percezioni di declino e di impotenza, nonché di xenofobie, separatismi e paure identitarie, alimentate da tabloid e social media, senza che però si delineino schemi politici e sociali, nazionali e internazionali, alternativi. Quel che sta succedendo nell’agone politico e nel complesso economico e finanziario della Gran Bretagna al solo delinearsi di una procedura di exit futura dall’Unione anticipa e aiuta a comprendere quello che sarebbe l’esito di un dilagante ciascun per sé. Stati nominalmente sovrani e indipendenti infatti non tornerebbero semplicemente a un’Europa libera dall’apparente guazzabuglio brussellese di corpi istituzionali, politici e giuridici, ma a una situazione di nuovo, grave rallentamento economico e di ulteriore perdita di peso geopolitico di tutti e di ciascuno, forse anche a una democrazia che rischia la morte per indigestione. Travaglio del sistema liberal democratico Come infatti già notato in precedenti commenti apparsi su AffarInternazionali, la crisi dell’Unione europea rientra in un più esteso e spesso non meno profondo travaglio dell’intero sistema liberal democratico. Non ne è esente la stessa nazione leader di tale sistema, come lo svolgimento delle elezioni primarie in vista della scelta del nuovo Presidente statunitense ha dimostrato. Né lo sono paesi lontani come l’Australia, o pretesi avamposti mediorientali come Israele, o sperate nuove acquisizioni come la Turchia. Anche per questo lo stato del multilateralismo transatlantico (come dimostra il Ttip periclitante), della governance globale a influenza occidentale (come dimostra l’impasse del G20) e del controllo della sicurezza internazionale a guida americana (come dimostra il moltiplicarsi di minacce “ibride”) non è solo molto insoddisfacente, ma in via di deterioramento, così come si è sopra detto dello stato dell’integrazione europea. Fermare questa deriva generale, rovesciarla se possibile, è compito che appare spesso e scoraggiantemente al di sopra delle capacità delle attuali leadership. Tuttavia le possibilità residue di adempirvi traggono beneficio dal riconoscimento dei vantaggi restanti degli istituti in essere, a cominciare da quelli europei, e dall’utilizzo dei margini esistenti di salvare il salvabile più che dalle ipotesi di buttare tutto alle ortiche, come certi ibridi politici di finte sicurezze passatiste e di improvvisazioni nuoviste sembrano volere, magari col supporto di scuole politologiche ammantate diRealpolitik. Può sembrare una ricetta da vecchi, ma quei giovani che, guardando al futuro, hanno votato in maggioranza per il Remain nell’Unione europea potrebbero averci dato una lezione di saggezza. Cesare Merlini è Presidente del Comitato dei Garanti dello IAI. | ||||||||
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