22 gennaio 1944 - 22 gennaio 2025 Lo Sbarco ad Anzio
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4 ore fa
Blog di base per l'approfondimento della Geografia Politica ed economica attraverso immagini, cartine, grafici e note. Spazio per lo studio attraverso la Geografia Statistica delle varie aree di crisi. Espressione esterna del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro (www.cesvam.it) (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
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L’Unione europea non riesce allo stato attuale a guidare la ripresa economica. Il processo decisionale è lento e talvolta frustrante. Ci sono momenti però in cui si può incidere e uno di questi è il nuovo “Documento dei Quattro Presidenti” sullagovernance dell’Euro che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker presenterà a giugno.
Il precedente documento dei Quattro Presidenti del 2012 aprì la strada alle operazioni straordinarie della Banca Centrale Europea (Bce) e, successivamente, al quantitative easing. Il documento del 2015 deve aprire la strada ad un più forte stimolo agli investimenti per la crescita. Consenso politico Il progetto europeo non può avere successo senza consenso politico. L’unica strategia credibile per ricostruire fiducia verso l’Europa, e verso le istituzioni in generale è renderla capace di concretizzare politiche in cui i cittadini possano identificare senza intermediazioni un valore aggiunto unico rispetto allo status quo. Così fu infatti per l’Euro e la stabilità dei prezzi negli anni ‘90. Motivi sia economici che politici spingono per una maggiore integrazione. L’economia europea è visibilmente sbilanciata (centro vs. periferia) e c’è bisogno di una politica comune di investimenti per chiudere il crescente divario messo in luce dalla crisi. Una proposta in questo senso c’è ed è chiedere alla Bce di acquistare sul mercato secondario bond della Banca Europea degli Investimenti (Bei). La Bei potrebbe quindi fare leva su questo capitale per finanziare investimenti produttivi e infrastrutturali, rafforzando e affiancando il Piano Juncker di 300 miliardi di investimenti. Ci sono varie questioni tecniche e politiche sul tavolo: da una parte le decisioni della Bce sono e devono restare indipendenti, e dall’altra bisogna valutare quanto la Bei può esporsi in progetti maggiormente rischiosi. Come però ha fa correttamente notare Mariana Mazzucato nel suo ultimo libro (“Mission Oriented Finance for Innovation”), il problema non è oggi la quantità di finanza (c’è liquidità abbondante nei mercati) quanto la qualità di finanza (quali progetti sono finanziati) e la mancanza domanda di finanza (gli imprenditori non se la sentono di investire in un contesto di incertezza). Il programma della Bei dovrebbe rispondere a queste domande. I punti di forza Questa proposta ha due punti di forza: è politicamente chiara (una Europa che investe in progetti immediatamente riconoscibili dai cittadini) ed economicamente solida. La causa principale del calo di produttività di paesi come l’Italia nell’ultimo decennio sono bassa innovazione e bassi investimenti, sia pubblici che privati. Il prossimo Documento dei Quattro Presidenti (cioè i presidenti della Commissione europea, della Bce, del Consiglio europeo e dell’Eurogruppo) deve incardinare questa proposta su perni istituzionali (e diciamo pure politico-burocratici), gli unici che veramente possono trasformare l’Europa nel lungo periodo. L’Italia può impegnarsi perché il documento chieda esplicitamente una espansione del mandato della Bei e maggior coordinamento con la Bce per garantire un efficace meccanismo di trasmissione della liquidità introdotta con il Quantitative Easing verso l’economia reale. Non bisogna farsi illusioni, qualsiasi passo che preveda maggiore condivisione di spesa e rischi sarà fortemente osteggiato da alcuni paesi, in primis la Germania. Il punto forte di questa proposta è che la condivisione del rischio è accompagnata da una valutazione indipendente della bontà degli investimenti poiché sarebbe la Bei a stabilire quali sono i progetti da finanziare. In mancanza di una vera e propria politica fiscale comune, questa proposta può contribuire a formare un senso comune di Europa attraverso progetti tangibili e produttivi. In ultima analisi, non c’è futuro per l’Europa senza maggiore fiducia, nell’economia, tra gli Stati e tra le istituzioni. Sta all’Italia chiedere che il documento di giugno ponga i due binari per far ripartire l’Europa: solidarietà e fiducia. Umberto Marengo è PhD candidate in EU Public Policy all’Università di Cambridge. |
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Nel 2014 si è assistito al lancio di Horizon 2020, il programma di ricerca e innovazione dell’Ue che raccoglie l’eredità del Settimo Programma Quadro e che distribuirà circa 80 miliardi di Euro in un arco temporale di sette anni (2014-2020).
Sulla base delle long term view presentata dalla Commissione europea, il programma Horizon 2020 contribuirà alle attività di ricerca e innovazione nel settore spazio con un totale di oltre 1,4 miliardi di euro. Ben quattro sono le call dedicate interamente al settore spazio: 1) Application in satellite navigation - Galileo (424 milioni); 2) Earth observation - Eo (164 milioni); 3) Protection of European asset in and from space - Protec (214 milioni); 4) Competitiveness of the European space sector - Compet (494 milioni). In aggiunta, si stima che circa 110 milioni saranno convogliati verso il settore spazio nell’ambito dello Sme instrument, schema di finanziamento dedicato alle piccole e medie imprese, e circa 25 attraverso altre call. Ciascuna delle call viene declinata attraverso un programma di lavoro e prevede sub-callcon cadenza annuale su temi specifici. La finestra per presentare domanda nell’ambito delle prime quattro sub-call spazio si è estesa dal novembre 2013 al marzo 2014. Complessivamente sono stati presentati ben 314 progetti ritenuti eleggibili, 205 (il 65%) hanno superato la soglia di sbarramento prevista ai fini della valutazione, 59 sono stati direttamente selezionati per il finanziamento e 17 inclusi in lista di riserva. Solo di recente, sono state ammesse al finanziamento altre sette proposte precedentemente in lista di riserva, portando così a 66 (il 21% del totale eleggibile) il numero dei progetti finanziati. Risultati incoraggianti Una prima analisi dei finanziamenti attribuiti ai progetti vincenti, evidenzia un risultato decisamente positivo per il settore spaziale italiano. Imprese ed enti di ricerca nazionali hanno complessivamente ottenuto risorse per circa 18,5 milioni di euro. Questo esito è particolarmente incoraggiante, non solo perché solamente Germania e Francia hanno fatto meglio, ma soprattutto perché i partecipanti italiani, a differenza di quelli tedeschi e francesi, hanno portato a casa risorse in eccesso (tabella 1) rispetto a quelle che sarebbero state erogate attraverso una rigorosa applicazione del regime del “fair return” che vige per i finanziamenti Esa. In altre parole, di fronte a una effettiva competizione pan-europea, il settore spazio nazionale ha dimostrato di saper fare innovazione, ottenendo finanziamenti in proporzione maggiore rispetto al contributo percentuale italiano al bilancio dell’Unione. Figura 1. Finanziamenti attribuiti ai progetti vincenti per Paese membro Un’analisi più approfondita dei risultati delle prime sub-call fa emergere, tuttavia, una criticità che il settore spazio italiano è chiamato ad affrontare e risolvere. Sono ben 55 i progetti presentati e coordinati da una legal entity nazionale (il 18% del totale). Mentre 34 progetti italiani hanno superato le soglie di sbarramento (il 62% delle proposte nazionali), solo sette proposte (il 13% delle presentate) sono state ammesse al finanziamento (tabella 2). Il settore spazio italiano si è dimostrato perciò poco efficace in termini di leardership, soprattutto nei confronti dei principali concorrenti europei. Tabella 2. Breakdown delle proposte presentate per Paese di residenza del soggetto coordinatore Elementi di criticità Questo risultato è particolarmente preoccupante innanzitutto perché, ex ante, il project leader ha un ruolo determinante nella concezione dell’idea progettuale, nella selezione dei membri del consorzio e soprattutto nella stesura della proposta. Il leader è inoltre il soggetto che letteralmente investe di più nella proposta in termini di giorni uomo; l’insuccesso italiano segnala perciò anche un chiaro problema di inefficienza. Ex post, inoltre, il leader ha generalmente la responsabilità per il management del progetto e ha in misura maggiore la capacità di indirizzare lo svolgimento delle attività di ricerca così come la disseminazione e lo sfruttamento dei risultati; ha perciò maggiori possibilità di beneficiare di consistenti spillone discendenti dalla ricerca. Infine, attraverso meccanismi di learning by doing, il project leader sviluppa capacità e competenze gestionali per proporsi nuovamente con successo alla guida di altri progetti. In definitiva, dall’analisi dei risultati della prime sub-call emergono sia luci sia ombre per il settore spaziale italiano. Certamente le imprese e gli enti di ricerca nazionali posseggono capacità e competenze uniche, tali da renderli partner ideali per proposte di successo. Preoccupano invece le debolezze riscontrate in termini di leadership e sono molteplici le ragioni per cui vale la pena affrontare questo problema con maggiore decisione. L’orizzonte 2020 è ancora lontano e il settore spaziale italiano ha il tempo necessario per ritagliarsi un ruolo da protagonista. Osvaldo Piperno è Primo Tecnologo, responsabile Piccole e Medie Imprese e Trasferimento Tecnologico presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei. Felice Simonelli è Assegnista di ricerca presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei & Ricercatore presso il Centre for European Policy Studies (CEPS). | ||||||||
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L’accordo-quadro raggiunto dall’Iran e dai 5+1 - i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania e l’Unione Europea - rappresenta senz’altro la tappa più importante in una disputa che si trascina da oltre dieci anni e che rischia, se irrisolta, di scivolare anche in un confronto armato.
L’accordo stabilisce una serie di parametri che consentono ai 5+1 e all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) di verificare la natura solo pacifica del programma nucleare iraniano. L’Iran, che ha sempre sostenuto di non avere ambizioni militari, otterrà in cambio la graduale revoca delle sanzioni imposte nel corso degli anni da Usa, Ue e Onu. Si tratta, al momento, di un accordo-quadro. I dettagli tecnici dovranno essere definiti e concordati dalle parti entro il 30 giugno. Fino a quella data sarà impossibile dire se il 2 aprile 2015 sia stata o meno una data storica. Le trattative potrebbero ancora incagliarsi e gli oppositori all’accordo in America e Iran potrebbero ancora avere la meglio. Tuttavia si può legittimamente affermare che la luce alla fine del tunnel è vicina. Quattro erano le questioni fondamentali sul tavolo negoziale: i limiti allo sviluppo del programma nucleare; il regime di ispezioni; la durata dell’accordo; la revoca delle sanzioni. In ognuna di esse si è fatto un deciso progresso. Esaminiamole una per una. I limiti al programma nucleare iraniano La questione più complessa di tutto il negoziato riguarda la capacità dell’Iran di arricchire l’uranio, un procedimento necessario tanto alla produzione di energia elettrica che alla fabbricazione del materiale per bombe. L’accordo stabilisce che l’Iran ridurrà di due terzi il numero di centrifughe, lo strumento necessario all’arricchimento. Da 19000, di cui la metà circa operative, si passerà a 6104, di cui 5060 operative. Tutte le centrifughe saranno del tipo tecnologicamente meno avanzato oggi in dotazione all’Iran. La limitazione al numero di centrifughe resterà in vigore per 10 anni. Per 15 anni, l’Iran non potrà arricchire l’uranio a un livello superiore al 3,67%, sufficiente per un reattore nucleare ma ben lontano dalla ‘soglia militare’ (90%). Il quantitativo di uranio a basso arricchimento oggi presente in Iran, circa 10 tonnellate, verrà ridotto a 300 chili. Tutte le centrifughe in eccesso, incluse alcune di generazione successiva (e quindi più efficienti), saranno poste sotto stretta vigilanza dell’Aiea. Tutte le centrifughe operative saranno concentrate nello stabilimento di Natanz, uno dei due centri per l’arricchimento dell’uranio in Iran. L’altro, quello di Fordow, verrà adibito ad usi esclusivi di ricerca e sviluppo in campo nucleare per applicazioni civili e mediche per un periodo di 15 anni. Concentrare l’arricchimento a Natanz invece che a Fordow è una misura di garanzia chiave. I 5+1 si premuniscono dalla possibilità che le attività di arricchimento siano condotte in un centro, come quello di Fordow, che è generalmente ritenuto invulnerabile da attacchi aerei, visto che è costruito nel cuore di una montagna. L’Iran si è impegnato a non costruire altri centri per l’arricchimento per 15 anni. Infine, l’Iran si è impegnato a convertire il reattore ‘ad acqua pesante’ di Arak in modo tale che sia impossibile produrre plutonio atto ad essere usato in bombe. Il plutonio è, come l’uranio altamente arricchito, un materiale fissile utilizzabile a scopi bellici. Nel complesso, queste misure dovrebbero assicurare che, qualora l’Iran mancasse ai suoi impegni, avrebbe bisogno di almeno un anno per produrre il materiale necessario per una bomba, un tempo sufficiente per gli Usa e i loro partner a imbastire una risposta. Oggi la finestra di tempo - in gergo il break-out time - è stimato tra i due e i tre mesi. Il regime di ispezioni L’Aiea continuerà ad avere accesso a tutti i siti nucleari iraniani, nonché a tutta la filiera industriale a valle del programma nucleare. L’agenzia avrà anche l’autorità di ispezionare tutti i siti in cui l’Iran sia sospettato portare avanti attività proibite dall’accordo in qualunque parte del paese. Si tratta del regime di ispezioni di gran lunga più intrusivo oggi esistente. Quando l’accordo si estinguerà, l’Iran continuerà ad avere obblighi di trasparenza in base al Protocollo aggiuntivo dell’Aiea, il modello standard di ispezioni più approfondite dell’agenzia. L’Iran dovrà anche dare attuazione ad una serie di misure concordate con l’Aiea per fare luce su presunti aspetti militari del programma nucleare. Con ogni probabilità, l’attuazione di queste misure verrà accertata dall’Aiea in via confidenziale. La durata dell’accordo Come detto, i limiti al programma nucleare resteranno in vigore per un periodo variabile, a seconda degli aspetti, tra i 10 e i 15 anni. Il regime di ispezioni iper-intrusivo dell’Aiea continuerà per 15 anni (su alcuni aspetti per 25), mentre il Protocollo aggiuntivo resterà in vigore a tempo indeterminato. Le sanzioni Una volta che l’Aiea abbia verificato che il governo iraniano ha adempiuto ai suoi impegni, gli Usa e l’Ue revocheranno tutte le sanzioni imposte sull’Iran a causa delle sue ambizioni nucleari (ma gli Usa manterranno quelle legate al sostegno a gruppi terroristici e alla violazione di diritti umani). In caso di violazione, le sanzioni verranno immediatamente ri-adottate. Le sanzioni Onu, di importanza centrale perché forniscono la cornice legale all’intera azione di pressione internazionale sull’Iran, verranno revocate simultaneamente all’attuazione da parte dell’Iran delle misure relative all’arricchimento; al centro di Fordow e al reattore di Arak; ai presunti aspetti militari del programma; e alla cooperazione con l’Aiea. Tuttavia, le sanzioni relative al trasferimento di tecnologie nucleari, nonché di materiali e tecnologie per missili balistici e sistemi d’arma complessi verranno ri-adottate in una risoluzione Onu di approvazione formale dell’accordo finale. Ciò vuol dire che queste sanzioni dovrebbero restare in vigore per tutta la durata dell’accordo. In conclusione Che dire, dunque, dell’accordo-quadro? La prima impressione è che tutti i nodi più intricati sono stati, se non sciolti, almeno fortemente allentati. Il diavolo, tuttavia, è nei dettagli, e di dettagli soprattutto si parlerà nei prossimi tre mesi di trattative. La luce è vicina, ma si è ancora dentro al tunnel. Riccardo Alcaro è responsabile di ricerca dello IAI e non-resident Fellow presso il CUSE della Brookings Institution di Washington. |